Scoprire la storia di Ferdinando IV di Borbone è il tassello essenziale per capire l’intera Storia di Napoli dal passato ad oggi.
Su di lui si è detto di tutto: “re lazzarone” o “re nasone“, “reazionario“, “violento e sadico“, “l’ultimo re illuminato“, “il re della restaurazione“. Aveva un carattere stravagante, lunatico e irascibile, fu spesso infedele perché non tollerava la severissima moglie, mentre con gli altri si dice fosse particolarmente allegro e burlone, rompendo le rigide etichette di corte: conosceva un vastissimo repertorio di battute in napoletano che snocciolava in ogni occasione. Era molto alto per l’epoca (quasi 1.90!) e, nonostante il fisico gracile, aveva una pancia rotonda e il famoso “nasone”.
Al netto delle curiosità caratteriali, il suo regno fu uno dei più lunghi della Storia del mondo intero: è infatti il nono re più longevo di sempre, con i suoi 65 anni di potere e una vita degna di un film.
Un re che doveva diventare Papa
Essere il figlio di Carlo di Borbone non doveva essere facile non solo per l’eredità pesantissima di un re che aveva cominciato a modernizzare il Regno di Napoli. Quando nacque il piccolo Ferdinando, in realtà, nemmeno doveva diventare re. Era infatti il terzogenito della coppia reale e la madre, l’austera e raffinata Maria Amalia di Sassonia, desiderava per lui un futuro da cardinale e, chissà, magari anche da papa.
Il problema è che il primogenito, Filippo, aveva un ritardo mentale (all’epoca chiamato imbecillità dai medici) e soffriva di crisi epilettiche. L’altro fratello maggiore di Ferdinando IV, Don Carlo, doveva inizialmente diventare erede del trono di Napoli e Sicilia e invece si ritrovò a Madrid, con il nome di Carlo IV.
I piani del padre furono per giunta rovinati dalla morte improvvisa di Ferdinando VI di Spagna, che costrinse Carlo di Borbone ad andare in patria per prendere il nuovo trono. Di conseguenza, il Regno di Napoli e di Sicilia fu lasciato in mano a un piccolissimo Ferdinando, di appena 7 anni, che fu assistito dallo statista più influente d’Italia in quei tempi: Bernardo Tanucci. Si dice che Ferdinando avesse fatto inventare un timbro in cera con la sua firma, in modo tale da firmare in serie i documenti che gli passava Tanucci, senza perdere tempo.
Di fatto fu proprio il politico toscano a gestire la politica napoletana per almeno vent’anni anche perché il giovane re aveva intenzione di fare qualsiasi cosa nella vita, ma di certo non gli interessavano proprio i lunghissimi e noiosi consigli di Stato. Il suo passatempo preferito erano infatti gli scherzi: si dice che amasse pizzicare il sedere delle dame di corte e che gettasse topi vivi in mezzo alle sale da ballo, giusto per fare due esempi.
Eccellenze, primati e contraddizioni
Probabilmente pochi personaggi descrivono le contraddizioni napoletane meglio di Ferdinando IV, con tutti i suoi estremi: era reazionario, ma il suo regno fu caratterizzato da numerosissime innovazioni; non amava la cultura, ma era molto affascinato dall’arte classica; si divertiva nel frequentare il popolo, ma viveva in uno sfarzo tale da indebitare pesantemente le casse dello Stato (tanto che Tanucci mandò una lettera, disperato, chiedendo dalla Spagna un intervento del padre Carlo di Borbone. Anche Ferdinando, in realtà, chiamò disperato il padre per aiutarlo a non farsi trattare male dalla moglie).
Servirebbero pagine intere per elencare tutte le innovazioni fatte sotto il governo di Ferdinando IV: dalla prima scuola militare d’Italia, la Nunziatella, alla Real Marina delle Due Sicilie. Promosse il primo parlamento d’Italia, ma lo sciolse con un colpo di scena.
E ancora, nel campo industriale diede impulso alla creazione di poli produttivi che diventarono modelli di eccellenza europei, come San Leucio o i cantieri di Castellammare di Stabia. E poi nella cultura, dal primo ordinamento degli scavi di Pompei alla creazione del Real Museo Borbonico, oggi diventato il MANN. E non dimentichiamo San Francesco di Paola!
Chiamò i migliori cartografi dell’epoca per disegnare la più accurata mappa del Sud Italia prima di quelle moderne e promosse la prima realizzazione delle targhe odonomastiche delle strade: Napoli fu fra le prime città d’Italia a registrare i nomi delle sue vie.
Per giunta fu proprio grazie alla golosità del re che abbiamo la forchetta con quattro rebbi e non tre, come si portava all’epoca. Ed il pomodoro, che diventò il principe della cucina napoletana, spopolò proprio durante il suo regno, così come le patate.
Eppure, in un clima culturale e filosofico che sembrava vivere un periodo d’oro, fra uomini come Filangieri e Genovesi, il Regno di Napoli viveva in condizioni di terribile arretratezza economica e sociale, soprattutto nelle province e in Sicilia.
Nonostante tutto, i napoletani lo amavano proprio per i suoi modi di fare che sembravano molto più simili a quelli di un popolano che quelli di un re.
Fra austriaci, inglesi e un matrimonio infelice
Ferdinando IV di Borbone, quando guardava al di fuori dei confini del Regno, si trovava in un vero e proprio campo minato. Dopo che la regina riuscì a liberarsi dell’ingombrante figura di Bernardo Tanucci, che per tutti gli ultimi anni della sua vita fu ostacolato ferocemente da tutta la nobiltà napoletana che non voleva perdere i privilegi terrieri, il Regno di Napoli diventò un vassallo dell’Austria ed alleato degli Inglesi. E lì fece capolino la figura di John Acton, che ebbe rapporti molto ambigui con la regina.
Il problema fu proprio l’influenza fortissima di Vienna, che d’altronde fu un male necessario anche secondo Carlo di Borbone: per evitare un’invasione di Napoli, infatti, fu proprio il padre di Ferdinando a stabilire un matrimonio conveniente.
Ed anche lì, dopo un’infanzia passata senza famiglia e con i doveri di un Re, Ferdinando fu sfortunato e senza amore: morirono le prime due mogli che gli furono promesse in sposa, mentre la terza, Maria Carolina, sopravvisse abbastanza per dargli anche un successore e un’alleanza con l’Austria.
Delle possibili spose mai conosciute, però, il re che aveva poco più di 16 anni non se ne dispiacque molto: le future mogli per lui erano un ritratto ed un nome. E anche con Maria Carolina, che poi conobbe, non scoppiò mai l’amore. Tant’è vero che sono famosissime le sue “scappatelle” con Lucia Migliaccio, la duchessa di Floridia, che poi ebbe in regalo la Floridiana sul Vomero e poi fu anche la sua seconda moglie.
Nel frattempo, Ferdinando si dilettava con il suo vero passatempo preferito, ovvero la caccia. Si dice che fosse un tiratore talmente bravo da riuscire a uccidere anche 200 prede in una sola battuta.
Tre volte sul trono
Klemens von Metternich, il diplomatico austriaco che fu l’uomo più potente d’Europa nei primi anni del XIX secolo, non sopportava minimamente il nostro Ferdinando IV. Di lui disse “è caduto tre volte dal cavallo e per tre volte l’ho rimesso in sella“, mentre dei napoletani scrisse opinioni atroci, paragonandoli a tribù africane senza il dono della ragione.
Questa bassa stima Ferdinando probabilmente la percepiva pienamente, ma sapeva anche che non c’era altro uomo che potesse aiutarlo a recuperare il trono per tutte e tre le volte in cui lo perse.
La prima, infatti, fu nel 1799: in tutta Europa c’era aria di rivoluzioni, mentre in Francia nasceva la Repubblica. Anche Napoli si ribellò proprio con l’aiuto francese e Ferdinando fu costretto a fuggire in Sicilia, ma già da mesi stava cercando di reprimere disperatamente le correnti massoniche e liberali (il primo giustiziato fu Emanuele De Deo, un ragazzo di 22 anni) che gli facevano traballare il trono come non mai.
Le circostanze però gli furono molto favorevoli: l’aiuto austriaco, che non voleva perdere un prezioso territorio, l’intervento degli inglesi, che avevano intenzione di mettere le mani sullo Stato strategicamente meglio posizionato nel Mediterraneo, e personaggi focosi e travolgenti come Fra’ Diavolo e il Cardinale Ruffo, ristabilirono in poco tempo l’ordine delle cose. E fu un bagno di sangue per tutti i rivoluzionari.
La scintilla era però esplosa. E la Francia tornò a Napoli con le cattive maniere, costringendo di nuovo Ferdinando a fuggire a Palermo. Anche stavolta fu salvato di nuovo, ma scendendo a patti con gli inglesi. Alla fine del decennio di Murat, sembrava tutto tornato in piedi con un nuovo nome e un nuovo regno, garantito dai soliti austriaci (ai quali Ferdinando aveva pagato svariati milioni di ducati per garantirsi i loro favori). E invece no.
L’ultima volta in cui vide traballare il suo trono fu durante i moti carbonari del 1820, che chiedevano l’istituzione di un parlamento: il re fu costretto a concederlo, anche dietro le insistenze del Figlio.
Poi, convocato in segreto a Vienna, tornò a capo di un esercito di 50.000 uomini per riconquistare Napoli ai danni addirittura del figlio Francesco I, diventato reggente e garante del Regno nel periodo di assenza del sovrano. Si pensa che probabilmente l’imperatore d’Austria gli impose una linea dura verso il parlamento e Ferdinando IV fu costretto ad obbedire senza proferir parola: il re di Napoli non aveva più alcuna voce in capitolo sulla propria politica nazionale, che doveva solo assecondare le volontà di Vienna.
La rottura con la Sicilia
Sin dal giorno in cui Carlo d’Angiò spostò la capitale da Palermo a Napoli, e parliamo del 1282, i siciliani cominciarono ad odiare la parte continentale del Regno e spinsero per più o meno tutta la loro Storia verso l’indipendenza dell’Isola.
Nei vari soggiorni di Ferdinando, durante i due esili da Napoli, la corte di Palermo nutriva sempre la speranza di poter avvicinare le simpatie del re e garantirsi ulteriori poteri oppure, addirittura, magari riuscire a strappare a Napoli il titolo di capitale. Non fu così. Anzi, ogni volta che Ferdinando riuscì a tornare all’ombra del Vesuvio si disinteressò della Sicilia, creando malumori fortissimi.
Quando poi, dopo il 1816, decise di annettere la Sicilia al Regno di Napoli, creando il Regno delle Due Sicilie, tolse l’ultima formalità che rendeva in qualche modo Palermo indipendente da Napoli. Fu una vera dichiarazione di guerra.
La storia di Ferdinando IV e la Sicilia fu probabilmente la pietra tombale sulla Storia del Regno delle Due Sicilie.
Un’eredità pesantissima
Anche se il suo lunghissimo regno fu un continuo barcamenarsi fra le ingerenze straniere, Ferdinando IV si è trovato a dover gestire il punto cruciale della Storia di Napoli. Secondo molti storici e letterati, fu proprio la sua politica a condannare il Regno delle Due Sicilie. In campo religioso, invece, portò Napoli ad avvicinarsi a Roma, ripristinando tutti i privilegi della Chiesa che il padre Carlo aveva cercato di eliminare assieme a Tanucci.
Il figlio, Francesco I, non fece meglio: non aveva alcuna intenzione di fare il re e preferiva dedicarsi ai suoi studi di botanica. Inizialmente aveva simpatie verso gli intellettuali che chiedevano una monarchia parlamentare moderna ma, dopo il “tradimento” di suo padre nel 1821, si inimicò tutta la nuova classe intellettuale di Napoli.
Alla fine il nipotino Ferdinando II si trovò a dover ricostruire i pezzi uno Stato già lacerato al suo interno. Ci riuscì in parte, amministrandolo da buon padre di famiglia e con una politica molto accorta, ma ormai la frattura fra la nuova classe liberale e la monarchia napoletana era insanabile. E a farne le spese fu lo sfortunato Francesco II.
Il lavoro più difficile di Ferdinando II fu quello di riuscire a liberarsi dell’Austria, che dopo la morte del nonno manteneva un controllo politico fortissimo su Napoli e non aveva alcuna intenzione di mollarlo: il giovane re riuscì a svincolarsi dalle pressioni estere, riuscì a risanare le casse dello Stato e promosse l’immagine di Napoli fra le prime capitali europee con iniziative industriali e tecnologiche all’avanguardia.
Per evitare conflitti o di finire di nuovo imbrigliato sotto qualche potenza estera, cercò l’isolamento totale del Regno delle Due Sicilie dai complicati intrighi politici europei.
Ma il crollo era ormai prossimo. E la prima regione ribelle sarebbe stata proprio la Sicilia che, 35 anni dopo la morte di Ferdinando I, fu l’approdo per Garibaldi. Come la prima tessera di un domino, il Regno delle Due Sicilie cadde proprio cominciando da quell’isola che si sentì tradita dal suo re.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Alexandre Dumas, I Borboni di Napoli, Marotta&Marotta, Napoli, 2003
Rosario Villari, Come è nata l’Italia. Il Risorgimento, Repubblica, Roma, 1991
Silvio De Majo, Biografie Napoletane, Belle Epoque Edizioni, Napoli, 2013
Salvatore Di Giacomo, Re Nasone di profilo, Imagaenaria Edizioni, Ischia, 2005
Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825
Ferdinando IV di Borbone, Lettere alla duchessa di Floridia, Imagaenaria Edizioni, Ischia, 2005
Antonio Ghirelli, Storia di Napoli, Einaudi, Milano, 2015
Giuseppe Campolieti, Il re lazzarone, Mondadori, Milano, 1998
Alfredo d’Ambrosio, Storia di Napoli dalle origini ad oggi, Tipografia Napoletana, Napoli, 1976
Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone, a cura di Rosa Minicucci
Leave a Reply