Se in tante parti del mondo i pittori e gli artisti dovevano usare la propria fantasia per creare mondi fantastici, con paesaggi e panorami mozzafiato nei propri dipinti, a Napoli non fu mai così e ce lo dimostra Anton Sminck Van Pitloo, pittore olandese che dimostrò l’arte nel rappresentare fedelmente la natur, perché la fantasia non avrebbe potuto creare nulla di più bello di quanto non esistesse già nella realtà: l’azzurro del mare mescolato ai colori dei mille fiori della costa di Posillipo; il fumo del Vesuvio che sembrava perdersi in un cielo azzurro come uno zaffiro. Nacque così la Scuola di Posillipo, che riunì a Napoli i più importanti pittori del 1800.
Il Grand Tour e Napoli
Il XIX Secolo, infatti, era l’epoca del Grand Tour, quella eccentrica moda nata in Inghilterra fra gli uomini ricchi: forti delle nuove scoperte tecnologiche e di un mondo che all’epoca era ai piedi di una piccola isoletta ai margini dell’Europa, centinaia di intellettuali, artisti e possidenti cominciarono a viaggiare in giro per il mondo, alla scoperta di nuovi paesaggi: la meta preferita era proprio il Sud Italia.
E così, in un viavai di ricchissimi turisti che visitavano Napoli ogni anno, gli ordini di quadri e souvenir erano numerosissimi e fecero anche la fortuna dei pittori più modesti: ci sono ancora oggi vedute del Golfo di Napoli a San Pietroburgo, a Parigi, ad Amsterdam, a Londra, Liverpool ed in tutte le città d’Europa.
Eppure, il padre dei paesaggi napoletani non fu un napoletano, ma un olandese, conosciuto come Antonio Pitloo.
Anton Sminck Van Pitloo giunge a Napoli
Nato nel 1790 ad Arnhem, un paesino nell’entroterra dei Paesi Bassi, Antonie Sminck Van Pitlo, era l’ultimo figlio di una ricchissima famiglia di commercianti olandesi.
Amante dei viaggi, decise di cominciare la carriera da artista fra Parigi e Roma, grazie al sostegno di Luigi Bonaparte.
Il suo incontro con Napoli fu però fortuito: dopo la caduta di Bonaparte non poté più pagarsi gli studi romani e fu costretto a cercare una nuova meta in cui viaggiare. Un giorno vide un quadro del golfo di Napoli e si innamorò dei colori e della vita che gli avrebbe promesso la città che lui stesso definì “un dipinto di Dio“.
Trasferito a Napoli con in mano qualche tela, i soldi della famiglia e tante speranze, decise di stabilirsi sulla spiaggia di Chiaia, che rimase sempre uno dei suoi luoghi più amati.
La barriera linguistica
Il primo dei problemi che affrontò, però, fu la lingua: i pescatori e l’umile gente che abitava il Vico del Vasto a Chiaia, infatti, non riuscivano a comprendere una parola di ciò che dicesse il pittore. Anzi, spesso, credendolo semplicemente pazzo, gli regalavano pagnotte, pesci ed altre cose da mangiare, per accogliere il nuovo arrivato.
Per non parlare del nome: Antonie Sminck Van Pitlo era impronunciabile per qualunque napoletano. Nacquero così decine di storpiature che facevano ridere il pittore olandese, amante della spontaneità dei suoi nuovi amici. Nell’ignoranza, poi, tutti trovarono un accordo: i napoletani, anche i più dotti, lo battezzarono “signor Pitloo“, perché, d’altronde, tutti gli stranieri hanno un cognome con due o.
E così diventò per tutti il “Signor Pitlù” (o Pitlò!), perché, altra regola universale, in Italia le due “o” finali nel cognome si leggono sempre all’inglese, anche quando si è olandesi.
Gli stessi funzionari dell’antica capitale borbonica avevano numerose difficoltà nello scrivere il suo nome e così, quando fu invitato a diventare professore dell’Accademia di Belle Arti, Pitlo decise di napoletanizzarsi del tutto: cominciò lui stesso a firmarsi Antonio Pitloo sui documenti ufficiali e sulle sue opere, proprio come veniva chiamato dai pescatori di Chiaia. Così, da ospite imbarazzato, in pochi anni diventò un olandese napoletano.
Pitloo e la Scuola di Posillipo
Nel 1810 fondò poi una scuola di pittura nella quale si formarono i più importanti pittori paesaggisti napoletani, fra cui Giacinto Gigante e Teodoro Duclère (il cognome inganna: è nato e morto a Napoli!).
Eppure, la città che tanto amò e che visse con tanto sentimento, lo tradì. Durante il 1837 ci fu una epidemia di colera e proprio il signor Pitloo fu una delle prime vittime del morbo, a soli 48 anni.
Al suo funerale parteciparono centinaia di persone, tutte affezionate a quel pittore olandese dai modi così semplici e simpatici che, nessuno lo previde, fu anche il padre della pittura en plein air divenuta famosa in Francia vent’anni dopo, con gli impressionisti.
Ed oggi al Vomero il suo nome è ricordato ancora come “Via Pitloo“.
-Federico Quagliuolo
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