San Biagio dei Librai è una delle strade più antiche di Napoli in assoluto, diretta erede dei nostri antenati greci. Molti la confondono con Spaccanapoli, anche se è solo una parte del decumano inferiore della città antica.

Il suo nome, a dispetto dell’apparenza italiana, è in realtà di origine armena. Ed è infatti legata strettamente anche alla vicina San Gregorio Armeno, che invece ha conservato nel nome il luogo d’origine del santo. Diventò poi casa della corporazione dei librai.

Targa Giambattista Vico Via San Biagio dei Librai
La targa che ricorda Giambattista Vico a Via San Biagio dei librai

Una fuga dall’Oriente

San Biagio ha la stessa origine di San Gregorio Armeno: nel Secolo VIII l’imperatore bizantino Leone III cominciò la stagione dell’iconoclastia, ovvero la distruzione delle icone sacre tanto care al culto cristiano ortodosso, nel tentativo di “rettificare” la religione.

Quest’operazione di riforma culturale violenta e senza precedenti mise in fuga migliaia di religiosi dalle terre orientali, che tutto volevano tranne che abbandonare le reliquie dei santi che veneravano nelle chiese e nei conventi. Fu così che, sbarcati dalle parti dell’isolotto di Megaride, dove oggi sorge il Castel dell’Ovo, un gruppo di monaci fu adottato dal Ducato di Napoli. Non era un caso la fuga nella città campana: Napoli era un minuscolo dominio bizantino schiacciato fra i regni barbarici di Salerno e Benevento.

Assieme ai vivi arrivarono anche due morti: i crani di Gregorio Illuminatore e Biagio. Entrambi furono inizialmente portati dalle monache di Santa Patrizia, poi San Gregorio finì nell’omonimo convento, mentre il povero San Biagio fu ospite per circa 1000 anni della piccolissima chiesetta di San Gennaro all’Olmo, chiamata così per la presenza di un grande albero che ospitava i premi del gioco della cuccagna. Di alberi, a Via San Biagio dei Librai, ovviamente non se ne parla proprio oggi. Però ci sono testimonianze dell’antica natura nei toponimi di tante strade.

Palazzo Carafa
Palazzo Diomede Carafa, all’inizio di Via San Biagio dei Librai. Quadro di Vincenzo Migliaro

E i librai?

Dobbiamo volare avanti di secoli, quasi un millennio per l’esattezza: già ai tempi di Ferrante d’Aragona il decumano inferiore era popolato da tantissimi librai e stampatori. Potremmo nominare Arnaldo da Bruxelles, l’uomo che portò l’arte della stampa a Napoli, oppure un cognome noto che visse nel XVI secolo: Antonio Vico, il padre del più famoso Giambattista, che oggi è ricordato da una targa.
L’economia medievale e rinascimentale era infatti basata sulle corporazioni, dei grossi centri di interesse che tutelavano tutti i lavoratori in una determinata categoria. Ogni corporazione, un po’ come accadeva per i sedili in politica, aveva una sua sede e dei rappresentanti. Ed ecco i pipernieri di Soccavo, che lasciarono sulla chiesa del Gesù Nuovo e in tantissimi luoghi di Napoli i loro simboli, oppure ancora gli Orefici, che avevano addirittura un intero quartiere a loro disposizione, o gli armaioli e tantissimi altri. Molte strade di Napoli conservano ancora i nomi delle corporazioni che avevano sede lì.

I librai, depositari di una nobile arte, scelsero come sede l’antica chiesa di San Gennaro all’Olmo e, dopo il 1631, si spostarono nella nuova chiesa di San Biagio, che per l’occasione diventò anche santo patrono dei librai.

Proprio nel vicinissimo Palazzo Marigliano c’è una lapide che racconta questa storia:

Qui, presso la casa di San Gennaro, sorgeva la basilica augustale e qui ebbe origine l’arte dei maestri librai

Palazzo Marigliano Via San Biagio dei Librai
Palazzo della Riccia (oggi Marigliano) a Via San Biagio dei Librai. La strada in passato era sicuramente più larga, ma probabilmente questo disegno ha esagerato un po’ troppo con le dimensioni.

Via San Biagio dei Librai e la scomparsa delle librerie

I secoli passarono e fra i due santi provenienti dalla lontana Armenia ebbe la meglio San Gregorio, con i suoi figurari e le sue botteghe di pastorelli, che invasero anche la vicina via San Biagio dei librai. Nel tempo la strada fu abbandonata dai negozianti di libri, che si divisero in una diaspora fra più zone del centro storico.

Alcuni si piazzarono dalle parti di Piazza del Gesù Nuovo, altri invece scelsero Via Toledo. Poi, tra il XVIII e il XIX secolo, si spostarono alle spalle del nuovo Foro Carolino che oggi conosciamo come Piazza Dante. Il nuovo re Carlo di Borbone voleva costruire un nuovo centro culturale per la città e Port’Alba passò da mercato ortofrutticolo a casa della cultura napoletana che, ancora oggi, con i suoi librai ospita intatta una delle tradizioni più antiche nobili della cultura napoletana.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Gino Doria, Le strade di Napoli, Ricciardi Editore, 1964
Romualdo Marrone, Le strade di Napoli, Newton Compton, Roma, 1997

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