Chi si ricorda la scena del film “32 dicembre” di Luciano De Crescenzo con i botti di Capodanno? Ecco, sostituiamo i botti con i piatti e potremo sentire la stessa emozione.
Scopriamo il menù del cenone di capodanno a Napoli.
Si parte con ostriche, salmone marinato, “taratufi” e tartine guarnite con ogni bontà del mare.
Il primo prosegue sulla stessa linea: vermicelli con i frutti di mare o con un astice dalle carni delicate, ma gustose e dal profumo inebriante.
La batteria delle fritture
Non c’è tregua ed ecco che parte la batteria delle fritture: capitoni, baccalà, paranza, ma c’è anche chi ci aggiunge alici eppure “ ‘e mmurzelle ‘e stocco”, che altro non sono che dei pezzetti di stoccafisso che si ottenevano dopo che il commerciante aveva ricavato il filetto (‘o curuniello) dalla “scella”. Venivano vendute ad un prezzo molto inferiore rispetto allo stoccafisso, ma servivano a far festeggiare con gusto anche le famiglie più povere.
Si continua anche con un bel pezzo di stoccafisso in bianco con le olive per alleggerire un attimo la presa, che subito viene ripresa, però, con broccoli al limone e insalata di rinforzo.
Arriviamo alla mezzanotte
Frutta fresca, frutta secca, e se siamo già prossimi alla mezzanotte, che fare? Mangiare pure cotechino e lenticchie, oppure interrompere il cenone di capodanno, brindare con dolci della tradizione e spumante e mangiare dopo il piatto ritenuto benaugurante?
Fate come volete: tanto il cotechino fu creato agli inizi del Cinquecento dai cittadini mirandolesi, vicino Modena, ai tempi di Pico della Mirandola per meglio conservare la carne dei maiali, durante il lungo assedio imposto alla città.
Libertà! Tanto, una cosa è certa. Per com’è andato il 2020, credo che in tutte le famiglie si metteranno in pratica i riti scaramantici del mondo intero pur di cacciar via la tristezza di un anno che ci ha reso tutti più fragili.
I vini del cenone di capodanno
Ultima nota, ma non meno importante: la scelta dei vini. Da campani non possiamo far altro che consigliarvi di utilizzare vini del territorio, sia nella versione secca (Fiano di Avellino, Greco di Tufo o Lacryma Christi), sia nella versione spumantizzata.
In bollicine, ormai, anche il nostro panorama vitivinicolo si è specializzato, sia assicurando ottimi rifermentati in autoclave, sia sinuosi metodi classici o, addirittura, ancestrali.
Basta inserire su google il nome del vitigno campano che più vi piace, aggiungere il metodo di spumantizzazione prescelto e…ne troverete delle belle!
Stappate, amici, stappate! Fate rumore, perché “specie che quest’anno” – come ebbe a dire il grande Enzo Cannavale al compianto Riccardo Pazzaglia – <<il Padreterno non è (diventato) sordo, ma (si) è distratto>>.
E speriamo che quest’ironia tutta napoletana, abbinata a una giaculatoria anch’essa tutta napoletana, possa sortire gli effetti sperati.
Yuri Buono