La canzone napoletana non è unicamente testo e musica in dialetto: è storia, tradizione e cultura di un popolo, ed ha allargato i suoi confini diffondendosi in terre ben più lontane. È, insomma, la melodia che accompagna non solo Napoli, ma il mondo intero, acquisendo così valore di patrimonio immateriale dell’umanità fin dalle sue origini.

la canzone napoletana
Pulcinella

La canzone napoletana tra il XVI e XVII secolo

Il primo autore di canzoni in napoletano fu Bernardino Velardiniello, artista del ‘500 che creò il genere musicale delle “villanelle napoletane”, poesie in vernacolo napoletano inserite all’interno di una melodia rinascimentale. Le villanelle acquisirono sin da subito una fama nazionale e fecero scoprire al vasto pubblico la bellezza del dialetto napoletano. A causa della sua diffusione, però, autori di tutta Italia iniziarono a comporre villanelle sostituendo il testo napoletano con quello in italiano letterario, divenendo un genere musicale che, a fine secolo, aveva perduto la sua “territorialità”.

A cavallo fra il XVI e il XVII secolo nacque un nuovo genere musicale, nonché danza popolare: la tarantella napoletana (canto abbinato al ballo di coppia che simulava le fasi del corteggiamento fra uomo e donna). La storia delle origini della tarantella, però, sono ancor’oggi incerte. È probabile che questo genere derivi dalla danza tradizionale tarantina, diffusasi poi nel resto del meridione.

Nel XVIII secolo la canzone napoletana divenne la protagonista dell’Opera buffa, genere nato a Napoli nello stesso periodo. L’Opera buffa (o intermezzo) consisteva in una breve messinscena presentata durante gli intervalli dell’Opera seria/melodrammatica. Talvolta l’Opera buffa consisteva in una vera e propria commedia per musica al cui centro vi era la canzone napoletana. A partire dal XIX secolo, il canto popolare divenne un’autonoma espressione artistica, slegata dalla struttura operistica, divenendo, cioè, celebre indipendentemente dall’opera teatrale.

La canzone internazionale: musica napoletana del XIX secolo

Nella prima metà dell’ ‘800 la canzone napoletana iniziò ad esser nota anche al di fuori dell’Italia: dapprima grazie al dominio napoleonico-francese (1805-1815), poi con i viaggiatori del Grand Tour che, nei salotti, leggevano le raccolte delle canzoni in dialetto, diffondendole poi nelle più grandi città europee (Parigi, Londra, Vienna, Madrid).

Nel 1835 nacque la prima vera canzone napoletana dell’epoca moderna: “Te voglio bene assaje”, di Raffaele Sacco, poeta, nonché ottico di professione. Tra i pezzi napoletani più noti del XIX secolo vanno ricordati “‘O Sole mio” (canzone più famosa nella storia della musica italiana) e “Funiculì Funiculà”. Quest’ultima nacque come spot pubblicitario per la nuova funicolare del Vesuvio del 1880.

Con il fenomeno dell’emigrazione, nella seconda metà del secolo, la canzone divenne per gli emigranti consolazione e sfogo, ricordo e legame con la terra e i cari lontani. Canzoni simbolo della sofferenza per la lontananza dalla propria patria napoletana furono “Santa Lucia Luntana”, “Lacreme napulitane” e “L’emigrante”.

Tra le canzoni che raccontano la lontananza da Napoli e, ancora oggi, più amate dal suo popolo vi è “‘O surdato ‘nnamurato”, storia della solitudine di un soldato al fronte durante la prima guerra mondiale e della nostalgia per la sua donna lontana.

Napoli e Sanremo, non poi così lontane

Nel 1931 a Sanremo nacque il “Festival di canti, tradizioni e costumi”: uno show natalizio (24 dicembre-1 gennaio) in cui le canzoni napoletane di successo internazionale venivano interpretate da cantanti napoletani e non. Fu il poeta Ernesto Murolo, con la collaborazione del musicista Ernesto Tagliaferri, a proporre un festival di canzoni napoletane degli ultimi tre secoli, in onore del loro concittadino Luigi De Santis, direttore del casinò di Sanremo (e sede originaria del Festival).

Non vi era alcuna gara, ma non mancava l’orchestra, la consueta divisione fra “big” e “nuove proposte” e un folto pubblico. Fra gli spettatori vi sarà anche Amilcare Rambaldi che, una ventina d’anni dopo, per rilanciare quel casinò nel dopoguerra, si ispirerà al ricordo del “Festival di Sanremo napoletano”. Propose l’utilizzo del salone per uno spettacolo di rassegna di canzoni italiane inedite da far gareggiare tra loro. Nel 29 gennaio del 1951 nacque così il “Festival di Sanremo”: Napoli ispira Sanremo, e Sanremo, però, ridà voce a Napoli nel corso della sua storia.

Alcuni tra i cantanti campani in gara e uno sguardo al presente

Tra i cantanti napoletani e campani a lasciare un segno al Festival della canzone italiana ricordiamo Peppino di Capri, Eduardo De Crescenzo, Massimo Ranieri, Renato Carosone, Nino D’Angelo e Gigi D’Alessio, fino ad arrivare alla nuova generazione di Clementino, Rocco Hunt, Stash e, infine, il protagonista di Sanremo 2024, Geolier.

Geolier riporta il napoletano sul palco dell’Ariston, come avevano già fatto alcuni degli artisti sopramenzionati. Nonostante il secondo posto in classifica dice di sentir di aver vinto ad ogni modo, riuscendo nello scopo di cantare nella propria lingua.

Come aveva predetto Amadeus prima del Festival: “Con Geolier tutto il Paese è tornato a cantare in napoletano”. Forse, quel “Festival partenopeo di canti, tradizioni e costumi”, consumatosi in un ventennio a causa di gravi errori artistici e organizzativi, ha finalmente avuto la sua rivincita.

La canzone napoletana, il cui simbolo in era contemporanea è incarnato in Pino Daniele (che con Renzo Arbore realizzò fra gli anni ’80 e ’90 una sperimentazione dei classici contaminati al jazz e al blues), regna indiscussa nel mondo musicale internazionale.

La canzone napoletana arriva ad ognuno di noi, la lingua che parla è universale, la passione che trasmette riscalda il cuore di chi la ascolta. E’ e sarà per sempre la colonna sonora delle nostre vite.

Bibliografia

Made In Naples, A. Forgione, Magenes, Milano, 2013.

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