In Campania la personificazione del Carnevale è rappresentata dalla maschera di Pulcinella che, nelle sue forme più volgari, ritroviamo assieme alla moglie nella famosissima “canzone di zeza“,

La canzone di zeza
Canzone di zeza

Un problema in famiglia

Le sue traversie in famiglia sono l’oggetto di un antico pezzo di teatro cantato che s’intitola “La canzone di Zeza”. Si rappresentava (e in certe località campane ancora si rappresenta, come a San Lorenzello, Maddaloni, Pomigliano, Somma, Caserta o ad Avellino, Montemarano, Mercogliano e tantissime altre città dell’entroterra) nelle domeniche precedenti la feste delle Ceneri, nel giovedì grasso e nell’ultimo lunedì e martedì di Carnevale. I protagonisti erano tutti uomini che facevano sia le parti maschili che quelle femminili coerentemente con il ribaltamento tipico del periodo.

La domanda sorge spontanea: chi è Zeza? Cosa c’entra con Pulcinella? Ebbene Zeza, ovvero Lucrezia, è la moglie di Pulcinella. Il pezzo di teatro si avvale di quattro personaggi: Pulcinella e Zeza, Vincenzella (o Tolla nella tradizione scritta), la loro figliola, e Don Nicola Pacchesicco, giovane calabrese pretendente alla mano di Vincenzella. La vicenda narra di un Pulcinella padre che non vuole che sua figlia si sposi col giovane calabrese mentre sua moglie Zeza, matriarca dalla dubbia fama e dalla conclamata sfacciataggine, fa in modo che sua figlia incontri Don Nicola e scambi con lui promessa di matrimonio. Il povero Pulcinella cerca di difendere sua figlia dagli assalti del giovane (una chiara allegoria sessuale) e Don Nicola, stanco delle minacce di Pulcinella, si presenta armato di fucile e spara fra le gambe del suocero che non può far altro che acconsentire alle nozze.

La canzone di Zeza

Pulcinella conosce bene i difetti di Zeza, sa che sua moglie non è quella che si direbbe una santa. Mentre si accinge ad uscire di casa si raccomanda con la consorte di sorvegliare la figlia per evitare che possa imparare quello che non deve imparare:

“Zeza vire ca io mo jesco

statte attient’a sta figliola,

tu che sì mamma dalle bona scola.

Tienetella ‘nzerrata

nun la fà prattecare

ca chella ca nun se sape se pò ‘mparare,

 uè se pò ‘mparare”.

Zeza finge di assecondare il marito che di fatto conosce bene i tradimenti di sua moglie che è tanto abile ad ingannarlo con le chiacchiere quanto a mettergli le corna coi fatti:

“Nun ce penzare a chesto

marito bellu mio,

ca a ‘sta figlia me l’aggio ‘mparat’io.

I’ sempe le sto a dire

‘na femmena ‘nnorata

è cchiù de ‘nu tesoro assai stemmata

…soro assai stemmata”.

Zeza non ha nessun interesse a tutelare l’onorabilità di sua figlia che vede come una sua proiezione più giovane e più ricca di possibilità laddove lei ha dovuto accontentarsi di un Pulcinella. E così Zeza invoglia la figlia a conoscere il mondo, per non dire che la invoglia a trovarsi un marito, anzi spera che prima di un marito la giovane si apra a molte nuove esperienze:

“Sì pazzo si te cride
c’aggio ‘a tenè ‘nzerrata
chella povera figlia sfurtunata!
La voglio fà scialare
cu ciento nnammurate
cu prievete, signure e cu li surdate
pure cu ‘e surdate!”

Pulcinella sa bene che sua moglie non è la migliore e sa di essere cornuto, ma si allontana lo stesso. Nel frattempo arriva Don Nicola, un giovane studente calabrese, apparentemente ricco, affascinante, che incarna la società urbana in contrasto col mondo agricolo della famiglia Pulcinella. Zeza è felice di piazzare sua figlia ad un signore e Vincenzella non nega di avere piacere per il giovane. Mentre i due amoreggiano torna Pulcinella che scopre la tresca e se la prende con la moglie definendola “zucculona ruffiana” (racconta, per inciso, di avere trovato spesso sotto al letto nuziale un amante salito dalla finestra). Zeza espone le sue ragioni e persiste nel proponimento di spalleggiare il matrimonio fra la figlia e il calabrese. Pulcinella cerca di difendere l’onore della sua Vincenzella ma Don Nicola gli spara fra le gambe:

“Arreto arreto t’ ‘o metto

‘stu piezzo ‘e cacafuoco!…
Cu Don Nicola haje fatto malu juoco”

Pulcinella chiede pietosamente misericordia per non rimetterci le penne e acconsente al matrimonio. Zeza ha vinto la sua sfida. La donna vince sull’uomo. L’uomo si comporta “da donna”. La smodatezza domina sulla virtù. Il contrasto di Carnevale è compiuto. Il mondo è alla rovescia nella canzone di zeza dedicata al Carnevale.

La “Canzone di Zeza” rappresenta la figura di un anno: un padre ormai morente che accetta il matrimonio di sua figlia nella convinzione che possa donare continuità al ciclo naturale delle cose.

Alessandro Basso 

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