Palazzo Firrao dei principi di Sant’Agata è uno dei più begli esempi di palazzo monumentale di epoca rinascimentale presente a Napoli. Si trova in via Santa Maria di Costantinopoli, chiudendo dal lato ovest piazza Bellini, splendida piazza del centro storico di Napoli, già sede di altri complessi monastici e palazzi monumentali.
La storia di Palazzo Firrao
La famiglia nobile dei Firrao arrivò a Napoli all’inizio del Seicento e, acquistato il palazzo, decise di ristrutturarlo per renderlo conforme al gusto del tempo. La costruzione di Palazzo Firrao risale probabilmente alla metà del 1500, quando iniziarono i lavori di ampliamento della città voluti dal viceré don Pedro Alvarez de Toledo, duca d’Alba; importanti lavori di rifacimento della facciata furono eseguiti nel corso del secolo successivo, quando passò nelle mani del principe Cesare Firrao.
I lavori vennero eseguiti da Giacinto e Dionisio Lazzari su disegno di Cosimo Fanzago. La facciata, in piperno e marmo, progettata dal Fanzago, doveva servire a mostrare la potenza della famiglia Firrao, una delle più potenti famiglie Napoletane del 1600, e la sua fedeltà agli Asburgo: per questa ragione fu da subito impreziosito da marmi e da pietra vulcanica scolpita in stile barocco
Infatti sulla facciata di Palazzo Firrao campeggiano sette nicchie contenenti busti marmorei della casata Asburgo scolpiti da Giulio Mencaglia e raffiguranti nell’ordine, da sinistra a destra, Filippo IV, Filippo II, Ferdinando II, Carlo V (al centro l’imperatore insignito dell’Ordine del Toson d’oro), Ferdinando III, Filippo III e Carlo III.
Le finestre del primo e del secondo livello di Palazzo Firrao sono simmetriche con il portale. Il portale è dominato da due figure dagli echi classici, scolpite da Jacopo Lazzari: la “Magnanimità”, adagiata su un felino mentre stringe una cornucopia, e la “Liberalità” anch’essa dotata di cornucopia ed affiancata da un’aquila.
Il piano nobile presenta sette finestre rettangolari, due delle quali dotate di balconi risalenti alla fabbrica cinquecentesca, intervallate da otto ornamenti con trofei militari. Ai lati, delle nicchie contenenti le statue dei sovrani Asburgici si trovano otto lesene rastremate con capitelli che sorreggono degli elementi allegorici. Ognuna delle basi, su cui poggiano tali elementi, reca dei cartigli con la seguente scritta:
«GENROSVM INDIGET HIC MEDIVM ET LABORAT PETERET NEVTRVM
VTRI NOVI VINO ILLA FINIS PROEMIVM ASTRA VULGARE»
Inoltre nella parte interna del palazzo persiste ancora lo scalone cinquecentesco, che si affaccia sul cortile con tre aperture per piano costituite da una finestra architravata e due archi ai lati. L’accesso della scala al piano terra è sormontato da una pensilina in ferro battuto con ricchi motivi ornamentali tardo ottocenteschi.
Permangono tutt’oggi molti elementi risalenti all’edificazione cinquecentesca del fabbricato; tra questi vi sono le sette finestre ad arco tondo dell’ultimo livello che è a sua volta coronato da un cornicione prepotentemente aggettante. L’ultima finestra per ogni lato, divenendo nicchia, contiene una statua di figura femminile, che si presume sia una copia di originali esemplari del periodo romano.
Un palazzo in pericolo
Durante i moti del 1647, visto il ruolo assunto dal principe di Sant’Agata rispetto alla monarchia, il palazzo corse il pericolo di venire distrutto, ma tutto ciò fu evitato grazie all’intervento del cardinale Filomarino: i seguaci di Masaniello avrebbero voluto incendiarlo.
Successivamente, a causa della mancanza di eredi maschi, il palazzo divenne proprietà dei principi Sanseverino di Bisignano a seguito del matrimonio tra Tommaso Sanseverino e Livia Firrao, ultima erede del casato Firrao. I Sanseverino di Bisignano vi abitarono fino alla morte dell’ultimo discendente, Luigi Sanseverino per passare poi agli Spinelli.
Per oltre un secolo il palazzo è stato la sede degli uffici dell’ARIN (Azienda Risorse Idriche Napoletana) ma dal 2005 è stato di nuovo utilizzato a scopo abitativo.
Bibliografia
I Palazzi di Napoli, Aurelio De Rosa, Newton and Compton, Roma, 2001
Palazzi e giardini di Napoli, Nicola Della Monica, Newton and Compton, Roma, 2016
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