Al Rione Alto, fino a una cinquantina di anni fa, tutta Napoli festeggiava la Pasquetta. Quello in foto è infatti uno dei tanti antichissimi sentieri pastorali che portavano dal centro storico alle campagne napoletane, percorsi fino a cinquant’anni fa: ci troviamo infatti a Via del Serbatoio, che portava anticamente dalla Sanità (precisamente dal Cimitero delle Fontanelle) al Largo Cangiani.
Come testimoni di un mondo perduto, quasi come se fossero degli Aztechi che hanno ancora voce per raccontare lo scempio fatto alle loro terre, oggi lentamente si spengono gli ultimi figli dei pascoli dello Scudillo, presenti negli ultimi momenti di vita delle antiche zone collinari napoletane: Capodimonte, Vomero, Scudillo e Camaldoli, oggi rimasti semplici nomi di quartieri che hanno rinnegato le loro origini, morti sotto il cemento. Oggi proveremo a far sopravvivere proprio una di queste testimonianze, riportando una storia raccontata da un vecchio colono dei Colli Aminei.
Fino agli anni ’50, il lunedì di pasquetta si trasformava in una grandissima transumanza di napoletani che, dal centro storico e dal vicino Vomero, salivano Strada dello Scudillo (oggi Viale Colli Aminei), un sentiero chiamato “strada che mena ai Cangiani” (che oggi è Via Jannelli) e, dalla Sanità, attraverso proprio Salita Scudillo, Salita dei Giudici e Via del Serbatoio. Tutti erano diretti ad un piccolo paesino di campagna che contava poco meno di 3000 abitanti, il cosiddetto Casale dei Cangiani.
I contadini che abitavano questo posto erano sempre assai sorpresi nel vedere la fiumana di persone che invadeva i prati ed i boschi delle colline napoletane, per godere dell’aria pulita e dei prati verdi e fioriti. Era un’aria così dolce che addirittura i medici di metà ‘800 la consideravano miracolosa: lo scrittore e politico Massimo D’Azeglio, uno dei più grandi intellettuali piemontesi, racconta nelle sue memorie che, nel 1820, il suo medico disse di “respirare l’aria delle colline di Napoli” per guarire da qualunque dolore cronico. E non è un caso che proprio al Rione Alto ci siano quattro ospedali.
E non solo: durante la pasquetta passata a mangiare e godere delle viste meravigliose della collina, i napoletani acquistavano il latte delle stalle locali, dato che il prato della zona dei Cangiani era famoso proprio per avere l’erba migliore di Napoli.
Gli anziani più nostalgici chiamano ancora oggi il “per Napoli” l’autobus che porta dalla collina al centro storico, che fu introdotto solo nei primi anni ’60: prima, infatti, l’unico modo per giungere a Via Toledo era camminare sul dorso di un mulo o, per i più fortunati, su di una bella carrozza.
Poi arrivarono gli anni ’70, con l’ultimo colpo di coda di un mostro di cemento che aveva distrutto già il Vomero: il benessere e la fame di denaro dei proprietari delle terre eliminarono tutti i contadini, strappando loro il lavoro della terra in cambio di un piccolo appartamento ed il posto di portieri di palazzo.
Fu proprio questo silenzio, preso quasi come per evento naturale ed ineluttabile, che vide sparire per sempre l’intero paese dei Cangiani, sotto il piccone e le gru che distrussero tutti gli antichi casali, tant’è vero che oggi non esiste praticamente più quasi nessun edificio antico.
I cangianesi persero così la loro identità, il loro nome e le loro terre per trasformarsi negli abitanti di una macchia di edifici che non è né Vomero né Scudillo, il cosiddetto “Vomero Alto”.
Ed oggi, quando si parte per Pasquetta per sfuggire dallo smog del quartiere collinare, si rimane imbottigliati nel traffico di Via Fragnito senza sapere che, solo cinquant’anni fa, proprio quei luoghi erano la meta preferita di vacanza per i napoletani.
-Federico Quagliuolo
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