Napoli, 1944. Una città distrutta dalla guerra.
I bombardamenti non risparmiarono certo la città che porterà per sempre i segni dell’atroce odio distruttore di quegli anni. Napoli era sommersa dalle macerie e molte famiglie erano disperate, trovandosi ben presto senza cibo, lavoro e soldi.
E’ proprio in questo drammatico clima di sconforto che la musica risorse dall’antica tradizione napoletana in tutto il suo splendore. E’ in quegli anni che Peppino Fiorelli scrisse la bellissima canzone “Simme e Napule paisà”, musicata da Nicola Valente, che riscosse un grandissimo successo internazionale.
Ma si sa, dove c’è successo ci sono sempre polemiche.
I più accaniti furono coloro che avevano avversato, per quanto possibile, il fascismo, intendendo l’appello: “Scurdámmoce ‘o ppassato”, come un invito ad obliare tutte le gravi colpe del regime.
Probabilmente non avevano letto attentamente tra le righe del testo, perché l’intento di Peppino Fiorelli era solo quello di incitare il popolo napoletano a rialzare la testa e a gioire delle piccole soddisfazioni che la vita ancora regalava.
Certo le parole “Basta ca ce sta ‘o sole…”, introduzione del famosissimo ritornello, possono trarre in inganno.
Eppure il sole e il mare oltre che l’amore, elemento presente da sempre nella tradizione musicale napoletana, sono le uniche gioie che la guerra ha lasciato ai protagonisti della canzone. Il ricordo dei cari perduti e le lacrime sul viso di una signora sono chiari riferimenti alla penosa situazione in cui versava Napoli.
Il maggior successo si ottenne solo in seguito grazie alle splendide interpretazioni prima di Roberto Murolo, poi di Claudio Villa e Massimo Ranieri fino a diventare una delle canzoni napoletane più amate di tutti i tempi.
–Valerio Iovane
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