Alla corte angioina di Napoli, e più precisamente sotto il regno di Carlo II d’Angiò, venne composto da un autore misterioso e sconosciuto uno dei più antichi trattati gastronomici dell’occidente cristiano: il Liber de coquina.
In quegli anni il Regno di Napoli, e più in generale l’Italia meridionale, erano in costanti e contrastati rapporti con il vicino mondo arabo. In una difficile e intricata relazione si intrecciavano interessi commerciali comuni, scorrerie di pirati, tentativi di accordi, fascino e paura per lo straniero, ma – soprattutto – influenza reciproca, nell’arte, nell’architettura, nell’evoluzione della lingua e nella gastronomia.
D’altro canto, la dinastia che allora sedeva sullo splendente trono di Napoli era una dinastia francese, quella, appunto, dei d’Angiò, e il Regno non ne rimase certo indifferente: a partire dai funzionari di corte, dai ministri del re, dalla lingua che egli stesso parlava, dalle sue abitudini quotidiane, impetuosamente la Francia faceva sentire con forza la propria presenza nel regno.
Per queste motivazioni storiche e antropologiche, l’autore del Liber de coquina, che oggi gli storici concordano nel collocare proprio nella cerchia fidata di re Carlo – fosse egli semplice cuoco o, più probabilmente, raffinato uomo di corte – risentì, nel comporre la sua opera, degli influssi delle cucine e delle culture gastronomiche di due mondi: quello francese e quello arabo.
Dalla lettura dei due manoscritti che ci tramandano il testo del trattato emergono tre elementi di tecnica e gusto che ancora oggi, per certi versi, sono fedelmente riprodotti nella cucina nostrana: l’uso generoso delle spezie e dei condimenti, una vivace fantasia nel combinare sapori molto diversi tra loro e il ricorso puntuale della bollitura delle carni prima della definitiva cottura.
Il Liber de coquina è diviso in due parti: una prima, chiamata Tractatus, tratta principalmente della composizione dei vini, di vari tipi di carne e di pesce, e soprattutto di legumi.
“Legumi: porre i ceci a bagno per una notte in liscivia ben salata. La mattina successiva, sciacquare bene con acqua tiepida. Quindi, mettere a cuocere in acqua tiepida e, a fine cottura, condire con sale e olio o altro tipo di grasso”.
La seconda parte del Liber invece concentra la sua attenzione sulle verdure, i condimenti e, soprattutto, la composizione di molti ingredienti.
Nel Liber sono presenti alcune ricette tipiche della cucina napoletana, capostipiti di una cultura gastronomica che si tramanda nei secoli di tavola in tavola: ad esempio, è il primo testo napoletano a noi pervenuto che riporta la ricetta dello scapece – che, si vocifera, era stato uno dei condimenti preferiti di Federico II di Svevia -, oppure delle lasagne.
Se vuoi fare la torta di lasagne, prendi uova fritte o lesse o sciolte e ravioli tagliati o interi, formaggio grasso grattato o tagliato a pezzi, lardo a sufficienza e metti insieme, ciò facendo uno strato, aggiungendo spezie, e su queste cose forma un serpente di pasta che combatte con una colomba o qualunque altro animale vorrai; indi intestini riempiti di buon ripieno e si componga in giro una specie di muro, poi si coloriscano gli strati a volontà e si ponga nel forno; infine si porti alla presenza del signore in gran pompa.
Il Liber de coquina, dunque, riunisce in sé e armonizza influenze vicine e lontane riuscendo a creare qualcosa di originale: originale ed eterno, perché esso fu il primo di una lunga serie di trattati culinari che diedero voce e spazio all’incredibile cultura gastronomica napoletana.
Beatrice Morra
P.S. la cultura gastronomica partenopea e lo studio di manoscritti così antichi meriterebbero una trattazione più approfondita di quella che potremmo riuscire, ora come ora e nel nostro piccolo, a portare avanti. Speriamo perciò che i nostri articoli siano per i nostri lettori l’input dal quale partire per approfondire conoscenze e curiosità.
Noi ci limitiamo a diffondere storie e amore per la cultura napoletana in tutte le sue sfumature.
Per iniziare, puoi dare un sguardo a:
Luigi Sada, Vincenzo Valente, “Liber de coquina: libro della cucina del XIII secolo : il capostipite meridionale della cucina italiana”, Puglia Grafica Sud, 1995.
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