Storia di una mattinata di neve ai Colli Aminei
La mattina del 27 febbraio mio fratello mi trascina giù dal letto al grido di “la finestra! Guarda la finestra! Guarda che sta succedendo!“, quasi come se fuori casa ci stesse aspettando l’apocalisse.
Stordito, confuso ed assonnato, per me che sono abituato a dormire fino a tardi, mi trascino fino al balcone e scopro di essere finito nel paese di Babbo Natale a mia insaputa. Il clima dei Colli Aminei, si sa, è sempre stato decisamente più rigido di quello vissuto nel resto della città: a poco meno di 300 metri di altitudine c’è una sensibile differenza di temperatura rispetto al lungomare!
Da buon fotografo, quindi, decido di correre in strada: la vita è una collezione di momenti irripetibili e non posso di certo tirarmi indietro dinanzi alla prima neve della mia vita.
Esatto: non ho mai visto la neve in venticinque anni di vita e sono preparato a questo giorno un po’ come l’America era preparata all’attacco di Pearl Harbor: mi butto addosso una improvvisata divisa antineve fatta di tutto ciò che può darmi un minimo di calore: una giacca da moto, una tuta del Napoli abbastanza pesante e le classiche scarpe brutte buttate per anni in fondo alla scarpiera che, al contatto con la neve, sicuramente mi daranno minor dispiacere nel vederle rovinate.
“Mi riscalderà l’entusiasmo“, penso. In effetti, mi è bastato sentire il suono sordo e impastato dei passi nella neve per dimenticare la temperatura.
Viale Colli Aminei si presenta in una scena apocalittica: auto sparse ovunque, tutti i negozi chiusi ed un silenzio assordante che circonda l’ambiente. Un autobus, slittando, si è messo di traverso ed ha bloccato l’intera circolazione finendo anche su altre automobili; la strada, che in teoria ospiterebbe solo due carreggiate, è occupata in alcuni punti anche da cinque file fra auto e motorini scivolati in giro, con la neve sul manto stradale che mostra ancora le tracce di tutte le sbandate prese dai guidatori sforniti di catene. In sottofondo, poi, si scorge in lontananza una ambulanza incastrata fra due pullman. Anche a farsi male ci vuole fortuna.
Sono le 9 e percorro il vialone facendomi strada fra le auto sparse casualmente come se fossero state giocattoli buttati per aria da un bambino capriccioso. Mi avvicino quindi ad un signore che fuma placidamente e, poggiato sulla sua automobile, nota il mio sguardo incuriosito ed esclama: “e che vulimmo fà! Stiamo tutti fermi così da due ore: la strada è bloccata, la metropolitana è chiusa, la tangenziale pure“.
“E nessuno è intervenuto?”
“Nessuno“.
“Ma è terribile!”
“Macché, quando mi capita più di fumare sotto la neve!”
Poco più in alto c’è una signora anziana, passeggera di una vecchia Panda bloccata nell’infinita coda di automobili, che scende dall’auto e si avvicina ad una station wagon dall’aria calda e spaziosa: “scusatemi, non mi sento bene ed il riscaldamento non funziona. Potete ospitarmi?” “Ma certo signora, entrate! State pure con vostro marito e lo lasciate in macchina? Andatelo a chiamare!“.
Sembra la scena della Salerno-Reggio Calabria in Benvenuti al Sud: chilometri di macchine bloccate sulla strada con tanti guidatori che, con lo spirito dell’allegro arrangiarsi tipico dei napoletani, vivono serenamente l’armageddon mattutina del trasporto pubblico.
Sono ormai arrivato quasi al Cardarelli e scorgo una decina di persone, dai cinque ai trent’anni, che schiamazzano. Sconosciuti fra loro: bambini, adulti e giovani che, in quella strana occasione, si trovano compagni di gioco fra pupazzi e palle di neve. Avevano tutti abbandonato le proprie auto per giocare!
Ad un certo punto un signore esclama “Cerchiamo un bar ed offro il caffé a tutti!” e l’improbabile comitiva si disperde alla ricerca di un po’ di calore, data la temperatura tutt’altro che mite.
La fotografia giusta, però, non arriva. Il panorama è inesistente ed io sogno di fotografare i tetti innevati di Napoli. Quando mi capiterà più?
Ci siamo mai chiesti dove finiscono i dati del computer quando li sottoponiamo al “taglia” e “incolla”?
Ecco, se la collina dello Scudillo fosse stata tagliata e poi trasferita in un mondo parallelo, di certo nessuno se ne sarebbe accorto: la visibilità è limitata ad un centinaio di metri, oltre i quali l’unica cosa visibile è un muro di foschia dal color grigio perla; l’orizzonte degli eventi si ferma a Capodimonte o al Cardarelli, il resto del mondo potrebbe essere serenamente diventato uno scenario fittizio come The Truman Show.
Mi rassegno: la foto non arriverà, ma vale la pena andare alla ricerca di nuove persone interessanti. Più mi guardo intorno e più aumenta la popolazione dei Colli Aminei: non si tratta però di esseri umani, ma di giganteschi pupazzi di neve costruiti in ogni angolo delle strade.
Arriva mezzogiorno. Il sole cade a picco sulla collina ghiacciata e, in una nube di vapore, il ghiaccio svanisce improvvisamente. Corro nel luogo panoramico più vicino possibile prima di perdere il momento della vita: corro verso la struttura dei Padri Rogazionisti con la speranza di poter fotografare i tetti innevati di Napoli dal loro magnifico terrazzo, dato che i palazzi degli anni ’70 hanno praticamente ostruito ogni luogo panoramico dei Colli Aminei. Colpo grosso.
Il ghiaccio dona a Napoli dei toni freddi che non le appartengono e questo blu dominante rende il panorama ancora più mozzafiato: scatto a colpo sicuro.
Nel frattempo la neve si scioglie sempre più velocemente e, sulla via del ritorno a casa, mi accompagna la solita melodia di clacson isterici, le ambulanze che sfrecciano a sirene spiegate fra le auto in sosta selvaggia, le vecchiette che occupano tutto il marciapiede ed i vigili che smistano guidatori incivili e inferociti che, fino a qualche ora prima, erano gli stessi che prendevano il caffè allegramente. Sembrava che quelle tre ore di allegria non fossero mai esistite, una parentesi temporale rimossa dalla memoria.
Guardo le foto sullo schermetto della macchina fotografica: se non avessi avuto con me la mia fidata Fujifilm, avrei anch’io senz’altro archiviato questa mattinata come uno stranissimo sogno.
-Federico Quagliuolo
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