Le pietre di Santa Maria della Stella Maris parlano ma a volte ingannano. E’ questa la storia di una chiesa che rimanda ad un lontano passato ma che invece ha una storia più recente di quanto si pensi. E’ anche la storia di un quartiere che nei secoli è cambiato in maniera esponenziale, lasciando tracce a volte visibili e altre meno.
Un luogo ricco di testimonianze da scoprire per capire a fondo quanto Napoli sia frutto di stratificazioni di ogni tipo e che non esiste dunque il bianco o il nero ma un intero spettro di infinite sfumature.
La chiesa di Santa Maria della Stella Maris sorge nell’attuale quartiere Pendino ed è compreso nella seconda municipalità di Napoli insieme ad Avvocata, Montecalvario, Mercato, San Giuseppe e Porto.
Si trova alle propaggini di quello che fu l’originario insediamento di Neapolis in corrispondenza dei terrazzamenti che digradavano verso il mare.
ETÀ MEDIEVALE
La zona del quartiere Pendino, ma anche delle zone limitrofe come Porto e Mercato, è andata progressivamente delineandosi nel corso dell’epoca medievale, dove si erano andate stabilendo tutte le varie corporazioni afferenti ai diversi settori dell’artigianato, ma anche dell’allevamento o della produzione casearia, oltre che le zone di commercio.
Questa zona già dal VII secolo fu molto importante, in quanto sulla collina di Monterone, dove oggi di trova il complesso di S. Marcellino, dunque a pochissimi metri dalla chiesa, sorgeva il palazzo ducale.
L’area era caratterizzata da imponenti fortificazioni fatte prima ergere da Belisario al tempo della guerra greco-gotica e poi da Narsete, il quale rese sicuro il porto. Così facendo la città resistette agli attacchi dei Longobardi e delle altre popolazioni per oltre duecento anni.
La Chiesa della Stella Maris oggi
Napoli fortunatamente ha una magnifica rappresentazione della sua conformazione cinquecentesca, grazie alla pianta edita a Roma da Antoine Lafrery. Il 1566, oltre ad essere l’anno di creazione della mappa, fu anche l’anno in cui terminarono i lavori di ampliamento delle mura cittadine voluti da Don Pedro de Toledo e, per la prima volta, le autorità cittadine cercarono di porre un freno alla continua espansione della città.
Lo spazio urbano della città della Controriforma venne rimodellato dagli ordini religiosi che si instaurarono in pieno centro.
Nel 1688 un terremoto assai grave innescò grandi opere di restauro e rifacimento di gran parte dei principali edifici della città. Tali opere però non furono molto rispettose delle ragioni della storia, tanto da indurre Carlo Celano a scrivere “ in quel tempo fero più danno gli architetti che il terremuoto istesso”.
Tutti gli spazi vennero pian piano occupati, i giardini sparirono e ben presto rimasero solo giardini pensili. A questa necessità di spazio si rispose con la costruzione al di fuori delle mura, le quali parvero più un ostacolo che una protezione. Da ciò si decise per l’apertura permanente delle porte.
Dopo questo breve excursus sull’evoluzione di quest’area nel corso dei secoli, arriviamo allo stato dell’area in epoca contemporanea.
L’area delle zone di Pendino, Porto e Mercato subiscono ingenti modificazioni durante il periodo del Risanamento, periodo caratterizzato appunto da grandi interventi urbanistici, ispirati a quelli parigini portati avanti da Haussmann.
Il motivo scatenante (perlomeno quello ufficiale, sebbene gli intellettuali dell’epoca non fossero dello stesso avviso) fu una nuova epidemia di colera, la quale si propagò a causa di condizioni igienico sanitarie assolutamente non adeguate. Tale epidemia si diffuse nel settembre 1884 con estrema violenza nei quartieri di stampo medievale, propagandosi in misura minore anche nel resto della città.
Si delineò quindi un intervento governativo con l’intento di risolvere definitivamente gli annosi mali della città. Agostino Depretis, Presidente del Consiglio, dichiarò allora solennemente che era necessario “sventrare Napoli” coniando così il neologismo sventramento (ispirato dalla lettura della prima edizione de “Il Ventre di Napoli” di Matilde Serao) che si applicò da quel momento alla principale operazione di bonifica da effettuare; termine che poi fu esteso a tutte gli interventi urbanistici simili compiuti in Italia in quegli stessi anni.
Si ascrive proprio a questo periodo storico la creazione dello slargo dove sorge il nostro caso studio, nonché la chiesa stessa. Qui fu spostata anche la seicentesca “fontana della Selleria” (o Sellaria) proveniente dall’omonima piazza, che fu sempre oggetto di modificazioni; la fontana era stata eretta nel 1649, su progetto di Cosimo Fanzago dal Vicerè d’Ognatte.
La chiesa ha origine dal fatto che la società per il Risanamento ,dovendo attuare la bonifica urbana della zona del quartiere Porto, decise di demolire nel 1889, tra i tanti edifici , anche la chiesa di S.Maria Stella Maris originariamente edificata dalla congrega dei “ferrari” nel 1561 in Vico Stretto di Porto.
Nel momento in cui finalmente l’Arciconfraternita fu rimborsata dalla Società del Risanamento per l’esproprio subito, i confratelli si attivarono per realizzare una chiesa e una sede presso l’attuale piazzetta del Grande Archivio, acquistando un piccolo giardino a largo S. Raimo.
La nuova chiesa e relativa cappella sepolcrale (cripta) furono progettate dall’ing. Gabriele Fergola, il quale diresse anche i lavori terminati quasi completamente nel 1905, anno della celebrazione di messe e solenni riti di ringraziamento da parte del padre spirituale Giovanni Saturno.
La chiesa e la cripta possono essere considerati elementi dell’architettura napoletana di primo novecento che aderisce agli stili del “revival gotico”, stile che dalla metà dell’800 si diffuse dalla Gran Bretagna a tutto il resto d’Europa. Difatti la chiesa vista con occhi contemporanei può essere scambiata per una vera e propria chiesa gotica, visto lo stato in cui versano le sue mura , ormai con tufo a vista, avendo totalmente perduto l’intonaco originario.
La facciata principale della Stella Maris presenta un portone senza portale, sovrastato da un arco acuto a cui si accede da un gradino protetto da una piccola e semplice cancellata in ferro battuto. La facciata ha un basamento rivestito in piperno e risulta totalmente priva di intonaci e ornamenti; si articola simmetricamente con due finestre bifore ad arco acuto divise da una colonnina, con archetti acuti polilobati, poggianti su colonnine e con un soprastante cerchio polilobato.
Le bifore, tompagnate all’interno, sono poste ai lati del portone e al di sopra di questo è collocata una nicchia simile alle finestre anch’essa con terminale ad arco acuto. Un semplice timpano di coronamento, in pessimo stato, composto da soli due lati spioventi chiude la parte terminale della facciata, ospitando sulla sommità una croce in ferro battuto.
Il problema principale di questa chiesa è che a partire dagli anni 70 ha perso totalmente le sue funzioni religiose ed è stata lungamente usata come deposito di detersivi. Dunque al suo interno sono spariti tutti gli elementi di pregio e tutt’oggi insiste nella chiesa un grandissimo soppalco che di fatto mozza l’unità spaziale della chiesa.
L’unico elemento di prego rimasto è un altare marmoreo proveniente dalla chiesa originaria, incastonato nella parete posteriore della chiesa.
Essendo uno spazio ampio e suggestivo, ubicato nel cuore di Napoli, questa chiesa meriterebbe tutt’altro destino. Molti sono i progetti degli studenti di architettura che insistono su questo immobile oltre che molti gli sforzi dell’associazione “I sedili di Napoli” presieduta da Giuseppe Serroni.
Ci auguriamo che la chiesa della Stella Maris presto sia al servizio della collettività in una città che non ne ha mai abbastanza di centri culturali!
Bibliografia:
- Storia illustrata di Napoli, Leonardo di Mauro e Giovanni Vitolo, Pacini editore , Pisa, 2006
- Documenti reperiti in sede dell’associazione Sedili di Napoli, dal titolare Giuseppe Serroni.
- Napoli in assonometria, Adriana Baculo Giusti e Antonella Di Luggo, 1992, Editore, Adriana Baculo Giusti.
Gaia Borrelli, Maria Raffaella Cimmino
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