Dietro la morte di Ferdinando II di Borbone-Due Sicilie potrebbero esserci tanti nomi. C’è chi parla di Caputo, un losco vescovo di Ariano Irpino, altri nominano un soldato pazzo, tale Milano, che aggredì Ferdinando durante una parata.
Molti, infatti, pensano che il re sia stato avvelenato durante una visita nel comune campano. E proprio lo stesso prelato, dopo l’Unità, si vantò spesso di essere stato l’assassino del Re. Nessuno riuscì mai a capire se l’uomo era un mitomane oppure davvero la sua mano cambiò per sempre la storia d’Italia.
Una morte prematura
Qualcosa di strano c’è. Il penultimo re delle Due Sicilie morì nel 1859, ad appena 48 anni, lasciando il regno più grande d’Italia senza un leader forte e in preda a una lotta intestina fra liberali e conservatori. Una situazione di caos in cui il giovane Francesco II, che aveva appena 23 anni, non riuscì di certo a dominare. E il Regno finì in balia degli eventi che portarono all’arrivo di Garibaldi appena un anno dopo.
Molti parlarono di complotto, altri di una fatalità che fece gioire il cugino, Vittorio Emanuele II.
Un attentato a Ferdinando II
Una delle teorie più antiche riguarda un soldato ribelle di fede mazziniana, tale Agesilao Milano, che nel 1856, colpì con una baionetta il Re durante una rassegna al Campo di Marte (l’attuale spazio su cui sorge l’aeroporto di Capodichino “Ugo Niutta”). Il ribelle fu subito condannato a morte ed impiccato a Piazza Mercato, ma il re non si riprese più dalle conseguenze della ferita, tant’è vero che era convinto di essere stato avvelenato: fino alla fine dei suoi giorni lamentò spesso dolori nel punto in cui era stato colpito, anche se il medico di corte lo aveva dichiarato completamente guarito.
È strano l’aggravamento improvviso delle condizioni di salute del re in soli due mesi, a distanza di ben tre anni dall’attentato.
Michele Caputo, l’avvelenatore
La vicenda più interessante riguarda la losca figura di Michele Caputo, vescovo di Ariano Irpino dalle simpatie piemontesi-liberali che, stando a buona parte della letteratura filoborbobonica, fu l’avvelenatore del monarca, anche se diversi storici hanno smentito categoricamente questa tesi.
Nel mezzo del Gennaio 1859, durante un viaggio verso Bari per il matrimonio del figlio Francesco, Ferdinando II fu costretto a fermarsi ad Ariano Irpino a causa di una violenta tempesta e fu ospitato dal vescovo carbonaro Michele Caputo, che lo accolse tributandogli tutti gli onori che competevano ad un re ed offrendogli un lauto banchetto.
Durante la notte Ferdinando fu trovato da Galizia, suo servitore, con una pistola in mano, convinto che qualcuno lo avrebbe assassinato nel sonno. Le guardie reali, però, non trovarono nessun assassino e lo rassicurarono.
Il viaggio riprese da Ariano Irpino il giorno seguente, ma le condizioni di salute del Re peggiorarono vistosamente, tanto da costringere la corte a deviare il viaggio e fermarsi a Caserta, senza sapere che sarebbe stata la fine del viaggio.
Sembra che poi il vescovo Caputo, all’indomani dell’arrivo di Garibaldi, si fosse presentato al generale come “L’avvelenatore di Ferdinando”, con opportunismo politico e mosso dal desiderio di una gratificazione: il premio non arrivò, anzi, nel 1860 fu cacciato da Ariano Irpino a seguito di una grande sommossa popolare contro il governo garibaldino.
La teoria dell’avvelenamento è molto criticata: sembra improbabile che il re abbia mangiato o bevuto cibi avvelenati, in quanto quasi sicuramente furono mangiate pietanze provenienti dalla scorta del viaggio. Allo stesso modo, nessun medico diagnosticò l’avvelenamento: l’unica frase storicamente riconosciuta che rende il vescovo un “indiziato” fu quella del servitore Galizia, che disse “Caputo preparò la morte del re”, raccontando l’ultimo viaggio di Ferdinando II.
L’obesità
Non meno seria è la teoria che ricoduce la morte di Ferdinando alla grave obesità del re.
Dopo una lunga visita, fu proposto alla corte reale da Nicola Longo, allievo del luminare Domenico Cotugno, un intervento chirurgico all’inguine del re per asportare una infezione purulenta che, altrimenti, avrebbe avuto conseguenze mortali.
Sempre secondo questa versione della storia, gli astanti si rifiutarono categoricamente di far toccare il corpo di un re e, nonostante pare che lo stesso Ferdinando II abbia detto in napoletano al medico “sto sotto a te, fai tutto quello che devi fare, ma non farmi morire”, non fu approvato l’intervento dalla corte di Napoli.
Le condizioni di Ferdinando peggiorarono a vista d’occhio e, dinanzi ad una salute sempre più compromessa, la corte approvò l’operazione proposta da Longo, ma era troppo tardi e non fu possibile rimuovere l’infezione.
Di lì, le conseguenze furono inevitabili: il 22 maggio 1859 Ferdinando II morì e Napoli si trovò improvvisamente senza guida nel momento più delicato della storia delle Due Sicilie.
La difficoltà nel reperire informazioni attendibili sulla morte di Ferdinando e, in generale, sul periodo immediatamente precedente l’Unità è dovuta alla distruzione, manomissione e perdita di molti documenti durante e dopo il processo di unificazione.
La certezza è che, nel momento più importante fra tutti i rivolgimenti che sconvolgevano l’Italia, venne a mancare la figura più potente della scena politica meridionale.
Allo stesso modo, lo stato di caos in cui cadde Napoli lasciò campo libero alle attività della Camorra, che, storicamente, nei vuoti di potere ha sempre trovato i suoi momenti più ricchi. E proprio lì fu fondamentale un altro personaggio che operò nell’ombra: Liborio Romano, l’artefice del primo accordo fra Stato e Camorra.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
https://www.galleriatanca.it/miniatura-ferdinando-ii-borbone-due-sicilie/
http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Altre/CAMPANIA/Ariano/002.htm
https://www.eleaml.org/poesie/ferdinando_russo.html
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