“Hanno truvato ‘e llampetelle rumane a Baia!” sentenziò la voce di uno dei tanti pescatori del luogo rivolgendosi a Claudio Ripa, membro dell’equipe impegnata nelle successive operazioni di ricerca delle cosiddette “lucerne di Baia” lungo i fondali della cittadina flegrea. I suoi occhi rivolgevano gli sguardi tipici di chi sa di avere fra le mani una notizia troppo importante per poter essere trattenuta a lungo e di lì a breve si accertò di condurre il team di archeologi nel luogo esatto del rinvenimento.

Il pescatore, a dispetto dell’ingenuità che si è soliti attribuire erroneamente a chi il mare lo ha conosciuto solo per esperienza diretta, era consapevole della portata della scoperta: si trattava di una quantità ingente di lucerne romane, note come lucerne di Baia, rivelatesi in seguito risalenti all’Età Imperiale e databili con maggior dovizia storiografica al I secolo d.C..

lucerne di Baia
Alcune delle lucerne di Baia rinvenute durante la campagna di scavo

L’inizio degli scavi delle lucerne di Baia

La notizia diede vita ad una immediata indagine subacquea, che andava inserendosi in una più ampia campagna archeologica fino a quel momento non particolarmente proficua. Il primo sopralluogo nell’area individuata fece luce sulle notevoli difficoltà legate alla presenza di emergenze architettoniche sui fondali. Le lucerne erano infatti custodite ancora, come sospese nel tempo, all’interno di ruderi sommersi da progressivi strati di sabbia e sassi. Per raggiungere il pavimento degli stessi fu pertanto necessario sgomberare gli ambienti dalle macerie dei solai crollati, ma il riaffiorare di qualche lucerna riaccese presto le speranze dei sub.

Rimossi i massi più pesanti mediante l’ausilio di sacche d’aria e di strumenti via via più accurati, seguirono nei giorni successivi immersioni sempre meglio organizzate, durante le quali fu possibile sia sgomberare diversi metri quadri degli ambienti individuati che portare in superficie decine di ceste ricolme di centinaia di esemplari di lucerne in buono stato di conservazione e dalla fattura più o meno pregiata. L’Antica Baia stava per partorire un altro dei sui millenari segreti.

Le campagne erano solite proseguire fino a tarda sera e ciò non permise di mettersi in contatto con la Soprintendenza di Napoli sin dal primo momento; le lucerne rinvenute furono quindi depositate presso il vicino Anfiteatro di Pozzuoli, in attesa di trovare più degna sistemazione. L’intervento della Soprintendenza, mediante la figura del Dott. Giorgio Buchner, fu poi necessario non solo per istituzionalizzare la scoperta, ma anche per fornire ai membri dell’equipe impegnata nella campagna i moderni dettami dell’archeologia subacquea. Insomma, al di là della straordinarietà della scoperta, dovuta soprattutto all’elevatissimo numero di reperti, l’operazione si distinse anche per la modernità delle procedure attuate in una situazione di tale criticità.

lucerne di Baia
Le lucerne esposte alla mostra Thalassa presso il MANN

Granello dopo granello iniziarono poi a comparire i muri perimetrali delle stanze esplorate. Fra le lucerne portate a galla, la maggior parte risultava essere di tipo semplice, ma ‘di ottima fattura e con pregi artistici‘, come si legge in una cronaca dell’epoca stesa dallo stesso Claudio Ripa. L’occasione fornì anche il pretesto per un’analisi più accurata degli ambienti in cui per secoli erano stati depositati quei reperti. La presenza di un pavimento in calcestruzzo non mosaicato permise di identificare quel luogo come deposito, ma un dettaglio spingeva gli interrogativi degli archeologi un po’ più in là: perché le lucerne presentavano quasi tutte il beccuccio annerito dall’uso? A cosa erano servite di preciso?

Tra i tanti che presero parte al dibattito c’era chi sosteneva il loro impiego durante la Festa delle lampadoforie, tenuta periodicamente in zona e particolarmente cara ai Romani; altri, invece, ipotizzavano che fossero state utilizzate per illuminare le banchine del porto di Pozzuoli in occasione dell’arrivo di qualche personaggio illustre. Un’ultima teoria collegava le lucerne di Baia alla folle impresa dell’Imperatore Caligola, che volle realizzare un ponte di navi tra Baia e Pozzuoli per poi percorrerlo in sella al suo cavallo sia di giorno che di notte.

Supposizioni fantastiche, che contribuiscono ad alimentare la singolarità della scoperta in un’area già di per sé avvolta da un alone di mistero. Sebbene sia noto che il progressivo decadimento e l’inabissamento di buona parte dell’Antica Baia siano stati provocati dal fenomeno del bradisismo, è pur vero che continua ad essere plausibile l’ipotesi di un evento improvviso e repentino che ne determinò l’abbandono definitivo.

L’altro volto della storia

Come spesso accade, la storia e il racconto che di essa si tramanda non sempre forniscono la medesima versione. Per poter avere uno sguardo complessivo sulla vicenda è doveroso quantomeno osservare l’accaduto da altre prospettive o, come nel nostro caso, leggerne gli sviluppi da altre fonti. Uno di questi documenti, che reca la firma del Prof. Alfonso de Franciscis, fu pubblicato nel 1967 su Bollettino d’Arte V Serie ed indica come luogo della scoperta “lo specchio d’acqua antistante lo stabilimento Pirelli, tra la punta del molo caligoliano e la punta Epitaffio“.

Stando a quanto riportato, dunque, le lucerne furono recuperate a Pozzuoli, e non a Baia come precisato da Claudio Ripa nell’articolo intitolato “Le lucerne di Baia” e pubblicato su Mondo Sommerso nello stesso anno. Probabilmente la necessità di mentire fu dettata da quella di celare il reale luogo della scoperta agli occhi dei ladri di reperti archeologici già particolarmente attivi in zona.

Misteri, ipotesi, supposizioni sembrano non poter essere facilmente verificate, così come resta ancora ignoto il modo in cui Baia sia passata dall’essere una delle più ridenti cittadine della Roma Imperiale a soggiacere sul fondo delle acque flegree. L’imprevedibilità di questa e di altre scoperte serve tuttavia a ricordarci che non tutto potrebbe essere già stato indagato. Il ventre di Baia, quasi come un’anziana Signora riluttante a rivelare il proprio vissuto con immediatezza, ha forse ancora qualcosa da dirci. Non resta altro da fare che attendere, ed ascoltare…

Daniele Nocera

Bibliografia:

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  1. Avatar MARCO DE DONNO

    Bello spunto, però forse la vera notizia è la presentazione all’interno della mostra Thalassa di questo storico ritrovamento e direi l’assoluta particolarità della scelta espositiva, che mi pare molto inconsueta.
    Complimenti e grazie per la condivisione!

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