Il primo prototipo d’automobile della storia d’Italia? Nasce grazie a un decreto di Ferdinando II di Borbone emesso a Capodimonte nel 1836, per accordare l’introduzione in Sicilia di una “vettura a vapore senza bisogno di rotaje“.
Il decreto regio, il numero 3337 del 1836, garantisce ai messinesi Giuseppe Natale e Tommaso Anselmi la concessione per l’introduzione nel Regno di un primo prototipo d’automobile. Siamo ancora lontani dall’introduzione di auto circolanti normalmente su strada, cosa che avverrà nel 1864, ma si tratta di una importantissima pietra miliare per la storia dell’automobilismo italiano.
Alle origini dell’automobile
L’idea di un “carro mosso in autonomia” risale addirittura al Medioevo, come testimonia un testo del frate francescano Roger Bacon che, nel XII secolo, profetizzò: “un giorno i carri si muoveranno da soli, senza bisogno di animali“.
Per poter immaginare la prima automobile, però, bisognerà aspettare diversi secoli: era il 1769 e il francese Joseph Nicolas Cugnot realizzò il primo carro a vapore (…ed andò a schiantarsi contro un muro perché dimenticò i freni!). Fu un’innovazione che destò grande scalpore in tutta Europa e, di lì, cominciò una corsa al primo motore, che era nei sogni di tutti, ma la tecnologia dell’epoca era ancora troppo acerba: gli scienziati votarono intere carriere allo sviluppo di un mezzo di trasporto veloce e indipendente.
Il treno fu la diretta conseguenza di questa ricerca e, proprio in quest’aspetto, Napoli introdusse in Italia la prima ferrovia grazie proprio all’attenzione della dinastia borbonica verso le innovazioni tecnologiche che portavano, come si direbbe oggi, grande “impatto mediatico” e grande prestigio internazionale.
E l’automobile siciliana che fine fece?
Non fu mai prodotta. Il decreto di Ferdinando II, che accordava l’esclusiva per la produzione ai due imprenditori siciliani, non ebbe seguito pratico.
Il testo era perentorio: gli imprenditori avrebbero avuto l’esclusiva sulla produzione per 5 anni. La condizione sarebbe stata quella di commercializzare la prima automobile entro un anno dalla promulgazione del decreto. Questa condizione non fu rispettata, probabilmente per gli altissimi costi di produzione della caldaia e per l’evidente difficoltà di commercializzare con successo il prototipo di vettura autonoma. Insomma, meglio investire sull’industria pesante dei treni, come poi accadde proprio a Napoli qualche anno dopo.
I tempi per l’introduzione di un’automobile di uso civile, d’altronde, erano davvero troppo acerbi. Le prime caldaie a vapore richiedevano oltre 60 chili di carbone per entrare a regime e spostare 4 persone per circa 2 chilometri all’invidiabile velocità di 7-8km/h, che è poco più di una camminata veloce. Gli automezzi pesavano in media 4 tonnellate ed erano difficilissimi da manovrare e frenare. Proprio i freni, d’altronde, furono un problema immenso anche per le prime vere automobili, che ad inizio XX secolo provocarono infiniti incidenti.
L’automobile in Italia arrivò finalmente nel 1864, trent’anni dopo il brevetto borbonico, nel polo opposto del Bel Paese. Ad introdurla fu infatti un inventore geniale e visionario: era il valdostano Innocenzo Manzetti, autore tra l’altro del prototipo dei robot, della pompa idraulica, della macchina per produrre la pasta e del telefono.
Alla Sicilia e a Napoli, che potevano essere precursori dell’industria automobilistica, è rimasto oggi un ben più amaro record: il parco automobilistico più vecchio d’Italia.
-Federico Quagliuolo
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Riferimenti:
https://ruoteclassiche.quattroruote.it/storia-alle-origini-dellauto-nel-profondo-sud/
Decreto 3337 del 1836