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La camorra è sulle prime pagine di tutta Italia da più di un secolo; è il terrore, la croce e la costante della Storia di Napoli, dall’Unità a Ciccio Cappuccio, arrivando ai fatti di cronaca moderni.
Nonostante sia un nome continuamente usato ormai anche nel gergo comune, ricostruire la sua origine non è affatto facile, perché le origini del termine sono spesso inquinate da una immensa produzione letteraria che, nei secoli, ha creato tanti stereotipi dei camorristi, a volte discendenti di nobili cavalieri e altre volte caricature di criminali da osteria.

Bisogna poi specificare che nessun camorrista si identificava come tale: l’organizzazione originale si chiamava “Bella Società Riformata” o “Onorata Società“.

Il testo è un estratto della mia tesi di laurea. Qualsiasi riproduzione o copia è assolutamente vietata.

L’origine del termine “Camorra”

Con una buona dose di sicurezza possiamo affermare che il fenomeno è in qualche modo legato alla Spagna e alle compagnie di cavalieri dei tempi di Don Chisciotte, che si è legato a sua volta al gioco d’azzardo che aveva gran successo a Napoli.

Proprio Cervantes fu il primo a creare una letteratura attorno alla criminalità organizzata, parlando della Confraternita del Monipodio di Siviglia nella novella “Rinconete y Cortadillo“. Si trattava di un’organizzazione criminale segreta, con un capo e un regolamento del tutto simile all’originaria Onorata Società di due secoli dopo.

A Napoli il termine è certamente noto già dal XVIII secolo, ma non era usato all’epoca con la declinazione conosciuta oggi.
Ricostruiamo allora le ipotesi più interessanti.

Confraternita Monipodio Cervantes Camorra
La lapide a Siviglia che ricorda la casa in cui fu ambientata la storia di Cervantes

Ramon Gamur

Ogni Stato ha il suo leggendario padre fondatore. Anche la camorra ne ha uno e la letteratura l’ha chiamato “Ramon Gamur”. Nessuno sa chi sia ed è impossibile capire se sia mai esistito questo personaggio. C’è chi dice che venga da Saragozza, altri parlano di Siviglia. L’unica certezza è che le storie popolari, tramandate nelle opere teatrali di Edoardo Minichini, lo immaginano come un brigante spagnolo del ‘600 che aveva una confraternita di cavalieri chiamata “Gamurra“. Il governo spagnolo lo spedì nel carcere di Favignana e, una volta uscito, andò a Napoli per rifondare la sua società criminale.

Questa storia, riportata da Marc Monnier e da Serao, è davvero molto improbabile.

Tore 'e Criscienzo
Salvatore De Crescenzo, il camorrista che unì l’Italia

Osso Mastrosso e Carcagnosso

No, non sono i tre fratelli sfigati della Banda Bassotti. Secondo una leggenda popolare famosissima, infatti, erano tre cavalieri di Toledo che, nel 1417, fondarono la Garduña, una società criminale che gestiva l’intero mercato della cittadina spagnola: nessuno poteva aprire una bancarella senza pagare il “barattolo“, che era il progenitore del moderno pizzo.
Un giorno un delinquente stuprò la loro sorella e i tre, furiosi, decisero di cercare lo stupratore per punirlo in modo esemplare: l’uomo fu legato ad un cavallo e trascinato per l’intera città, poi il cadavere fu smembrato e bruciato.
Quest’orrore compiuto dai tre fratelli della ragazza fu il pretesto per la cattura da parte delle guardie spagnole, che li chiusero nel carcere di Favignana per 29 anni, 11 mesi e 29 giorni.
I tre fratelli non erano affatto pentiti. A loro avviso erano stati puniti ingiustamente e, se non avessero provveduto a farsi giustizia, lo Stato avrebbe sicuramente lasciato in vita lo stupratore.
Decisero quindi di progettare, durante la lunghissima prigionia, la nascita di una nuova confraternita che avrebbe combattuto lo Stato spagnolo: scrissero un regolamento comune e, usciti dal carcere, Osso andò in Sicilia e fondò la mafia; Mastrosso in Calabria fondò la ‘ndrangheta e Carcagnosso in Campania fondò la camorra.

In effetti, le tre società criminali erano in origine estremamente simili.

Questa leggenda, per quanto rimanga ovviamente un racconto di fantasia, presenta infiniti simbolismi. In un rito di affiliazione alla ‘Ndrangheta del 12 aprile 2014, svoltosi a Lecco, cinque persone presenti alla cerimonia d’iniziazione, giurano sui massoni Garibaldi, Mazzini e Lamarmora, sostituendo così i nomi dell’antico giuramento su Osso, Mastrosso e Carcagnosso.

Secondo Luigi Malafarina, uno dei massimi studiosi del fenomeno ‘ndranghetista negli anni ’50 e ’60 del ‘900, Osso Mastrosso e Carcagnosso hanno un valore esoterico e si ricollegano strettamente a simbologie esoteriche\massoniche:
-Osso rappresenta Gesù Cristo
-Mastrosso rappresenta San Michele Arcangelo
-Carcagnosso rappresenta San Pietro, che si trova dinanzi alle porte del Tempio, che sarebbe la Società segreta.

Osso, Mastrosso e Carcagnosso
Osso, Mastrosso e Carcagnosso

Gamurra

C’è chi pensa che la parola “camorra” sia figlia di un vestito. La “gamurra” era infatti una giacchetta molto stretta usata in Spagna nel XV secolo. Era molto nota anche in Toscana e ancora oggi ci sono dialetti regionali in cui compare il termine “camora” “camurra” o “gamura” per indicare una giacca. In Italiano la giacca è chiamata “baschina“.
Vincenzo De Ritis, nel suo Vocabolario napoletano lessicografico e storico del 1845, inserisce il termine “CAMORRA” per indicare una specie di tessuto prezioso. In gergo diconsi camorristi i giuochi ed i giocatori di vantaggio, raccolti per ingannare i giocatori troppo semplici”.

Anche Basile ne parla ne Lo cunto de li cunti: nel racconto “Le tre fate” del giorno 10, compare la frase “le facettero vedere camorre de teletta de lo spagnuolo”.

Questa origine però giustifica la presenza del termine “camorra” in dialetti di territori che la criminalità napoletana non l’hanno mai conosciuta, è difficile che possa identificare l’origine dell’organizzazione criminale, come poi spiega anche De Ritis distinguendo l’uso dei termini.

Uomo in gamurra camorra
Un uomo in “gamurra”, XVII secolo

Giochi d’azzardo e la Morra

La ricostruzione più verosimile lega il nome dell’organizzazione al gioco della morra, che era il gioco d’azzardo più famoso a Napoli. La variante conosciuta oggi è “la morra cinese“, che si gioca con carta sasso e forbici. Nella morra originale si doveva indovinare il numero che sarebbe uscito dalla “giocata”, sommando le dita dei partecipanti.

Il gioco spesso finiva in risse e violenze ed era svolto in luoghi chiamati “Case della Morra”. Il “Capo della Morra” era invece chi controllava la regolarità dei giochi ed esigeva una percentuale sulle vincite.

C’è un documento del 1735 che parla dell’apertura di otto case da gioco, fra cui una chiamata “Camorra avanti palazzo“. Per la prima volta il termine camorra è citato in un atto normativo.

Bartolommeo Capasso immagina che i camorristi siano i discendenti dei “compagnoni”, che erano le bande di criminali del ‘600. I “bravi” di Manzoni, per intenderci meglio. Amavano il gioco d’azzardo e si riunivano all’interno di case da gioco, spesso assieme ai militari. Non a caso il gioco della zecchinetta è arrivato a Napoli proprio per la frequentazione dei militari tedeschi nelle bettole del Porto.

In realtà è certo che nessun membro dell’Onorata Società si definiva “camorrista”, quindi probabilmente accadde l’esatto opposto: fu la letteratura e il gergo borghese a definire “camorristi” i delinquenti, a causa della pessima frequentazione delle case da gioco.

Gioco della Morra
Popolani che giocano alla Morra

Ricostruzioni letterarie

Ci sono tante altre tesi, incredibilmente suggestive, legate alla nascita del nome. Ad esempio Angelico Prati, linguista, nel 1934 immaginò una nascita del termine Camorra dall’unione delle “cata“, che sarebbe “gigantesco” e “mmorra“, che indica il branco. Sarebbe quindi una gigantesca banda, un branco irresistibile.
Massimo Pittau, altro linguista, invece pensò a Gomorra. E in questo caso l’opera di Saviano non c’entra nulla. La parola “gamorra” era usata nei secoli passati per indicare ogni tipo di depravazione morale. Ma è assai difficile che l’organizzazione criminale abbia un’origine letteraria così raffinata.

Francesco Montuori immagina invece una nascita legata al termine “camerarius“, l’addetto alla riscossione delle tasse ai tempi degli Aragona. L’ “Equitalia” del passato era composta spesso da avanzi di galera, che spesso non avevano scrupoli nel torturare i cittadini pur di estorcere denaro. Di qui, la storpiatura di “Camorrario” (in dialetto cerretanoCamorrone“) è andata ad identificare tutti i prepotenti ai camorristi.

Bandito sardo
Un bandito sardo

L’ultima tesi lega il fenomeno della Camorra alla Sardegna

In Sardegna, nel XVII secolo, erano presenti numerose bande criminali caratterizzate da codici d’onore e da obblighi di segretezza simili alle confraternite cavalleresche spagnole.

Queste bande di criminali, collaborando con i mercanti pisani del XIII secolo, tenevano sotto completo controllo l’intero mercato di Cagliari. Poi, puntando a porti di maggiore importanza nel mediterraneo, si mossero a Napoli con l’arrivo degli aragonesi. Di lì le confraternite criminali trovarono l’ambiente cittadino perfetto per prosperare. È probabile che la criminalità napoletana abbia avuto influenze storiche anche da parte dell’organizzazione sarda.

-Federico Quagliuolo

Letture e link per l’acquisto:
Francesco Barbagallo, Storia della Camorra
Isaia Sales, La Camorra, Le Camorre
Gigi Di Fiore, La camorra e le sue storie
Vittorio Paliotti, La Camorra
Marc Monnier, La Camorra
Ernesto Serao, Le origini della Camorra, Bideri, 1911
Francesco Montuori, Lessico e Camorra, Fridericiana, 2008
Arturo Labriola, I misteri di Napoli e la leggenda della Camorra
Marcella Marmo, Francesco Barbagallo, Camorra e Criminalità organizzata in Campania

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