La “Pignasecca” è uno dei quartieri più affollati e variopinti di Napoli con le sue bancarelle, pescherie e gli alti palazzi che donano frescura anche nelle giornate più calde. Attraversarla è doveroso per chi da Montesanto vuole dirigersi verso il centro, ma questo singolare spaccato della città merita ben più di una fugace attraversata.
La sua peculiarità è insita nello stesso nome che rievoca (come spesso accade nella secolare tradizione napoletana) una leggenda che vede protagonisti i napoletani e… delle gazze ladre!
La leggenda del bosco di “Biancomangiare”
Nel ‘500 nell’attuale Pignasecca si trovava un immenso bosco di proprietà della nobile famiglia Pignatelli di Monteleone chiamato il bosco di “Biancomangiare“. Il singolare nome è da attribuirsi a un dolce molto in voga a quel tempo e tutt’oggi esistente, realizzato principalmente con vaniglia, zucchero e latte.
Si narra che in quel periodo vigesse una buona dose di libertinismo a Napoli, favorita da una certa agiatezza. Tale forma di spensieratezza fece sì che gli abitanti, anche quelli meno abbienti, si lasciassero andare a piaceri proibiti che spesso sfociavano in amori clandestini.
Questa lascivia coinvolgeva tutti i ceti della società, compreso il clero. Secondo la leggenda, le gazze ladre che popolavano il bosco di “Biancomangiare” entravano furtive nelle abitazioni dei napoletani proprio durante gli amplessi amorosi. Rubacchiando qualsiasi oggetto che capitava loro a tiro (abiti talari, biancheria intima, oggetti luccicanti e tanto altro), trasportavano i loro bottini sopra gli alti pini del bosco.
E così, osservando gli oggetti accumulati sulle fronde degli alberi, i curiosi napoletani potevano dare sfogo ai pettegolezzi che spesso e volentieri coinvolgevano vescovi, perpetue e uomini d’onore. Insomma il bosco divenne un antesignano dei moderni giornali di gossip!
La bolla di scomunica
A quanto pare la situazione divenne alquanto ingestibile e fastidiosa, al punto che si decise di emanare una bolla di scomunica… alle gazze ladre!
“In nome di Dio, per la grave responsabilità che mi fu affidata in terra, nella qualità di vicario di Cristo, io, Vescovo di Napoli e delle sue province, scomunico, d’ora innanzi, tutte le gazze di questo quartiere, anzi… tutte le gazze di questa città”.
Così recitava il testo della bolla che fu inchiodato al pino più alto del bosco come monito per i dispettosi uccelli. Una soluzione alquanto singolare, si direbbe. Ma d’altronde siamo nel mondo delle leggende!
La nascita della “Pignasecca”
Tre giorni dopo l’emanazione della bolla gli alberi del bosco di “Biancomangiare” iniziarono misteriosamente a rinsecchire uno dopo l’altro. E con essi scomparvero anche le dispettose gazze ladre che non potevano più ristorarsi sulle verdeggianti fronde. Fu così che in poco tempo si trasformò in un’arida distesa che venne, per l’appunto, chiamata “Pignasecca”
La seconda ipotesi
Un’altra storia, meno romantica ma più verosimile, parrebbe giustificare la nascita dell’appellativo “Pignasecca” a questioni di tipo urbanistico. Nel 1536, infatti, al tempo della costruzione di via Toledo ci fu una massiccia cementificazione che portò all’abbattimento di alcune aree verdi circostanti.
Nella zona rimase dunque un solo pino che divenne l’unico rifugio per le gazze ladre che lì nascondevano la loro refurtiva. I tentativi dei residenti seccati di scacciare i volatili danneggiarono il pino che quindi seccò: da qui nacque dunque il termine “Pignasecca”
“Pignasecca”: un nome, tante storie
Quale sia la vera origine della parola “Pignasecca” non ci è dato saperlo. Ma resta l’unicità di un quartiere intriso di tradizione popolare che stupisce i turisti con la sua pittoresca vitalità.
E tra i residenti del quartiere c’è ancora chi sostiene che, di primo mattino, quando il frastuono del mercato non ha ancora preso piede, sia possibile percepire il gracchiare delle gazze ladre, scacciate in malo modo dalla loro casa.