Gli Stati Uniti, nella loro storia, hanno sempre avuto a che fare, in un modo o nell’ altro, con l’ Italia, ma con Napoli c’è sempre stato un rapporto speciale. Il Regno delle due Sicilie è stato il primo tra gli Stati italiani a stringere amicizia con gli Stati Uniti, un’amicizia fruttuosa e duratura.
Il 16 dicembre 1796 è stato un giorno storico per i rapporti tra la penisola italiana e degli allora giovanissimi Stati Uniti: fu inaugurata la prima sede di rappresentanza degli U.S.A. in Italia, a Napoli, in un edificio di via Chiatamone, con primo console John Matthiew e, subito dopo, l’ inviato del Regno in America fu Ferdinando Lucchesi Palli, nobiluomo napoletano il cui compito era stabilire una nuova rete di uffici consolari, di cui il principale fu inaugurato a New York.
I rapporti tra i due stati sono precedenti a questo accordo, ma si limitavano ad un traffico navale di merci da e per l’ America, frutto di una politica lungimirante da un punto di vista economico, ma con degli Stati Uniti che ancora non erano pienamente affermati sulla scena internazionale.
L’amicizia iniziale subì, tuttavia, una brusca interruzione tra il 1809 e il 1812, poichè Gioacchino Murat sequestrò e bloccò numerosi carichi statunitensi, incrinando i rapporti tra il Regno e la nascente potenza d’oltreoceano e causando loro un ingente danno economico, a cui seguì un temporaneo allontanamento a livello diplomatico.
Con la Restaurazione, dopo il Congresso di Vienna, gli U.S.A. decisero di chiedere il conto per tutte le perdite subite negli anni precedenti: un milione e mezzo in Ducati napoletani. Una cifra che all’epoca avrebbe fatto impallidire chiunque.
Dopo la parentesi napoleonica, i contatti tra i due Stati continuarono pacificamente e, addirittura, il Regno delle due Sicilie stabilì numerosi consolati in alcune delle città all’ epoca più importanti e popolate degli States, come New York, Boston, Filadelfia e New Orleans e, viceversa, gli Stati Uniti posero dei consolati in diverse città del Regno, come Palermo, Messina, Catania, Taranto e Pozzuoli.
La questione del debito economico finì con l’ essere accantonata nel corso del tempo per poi essere ripresa solo nel 1835.
Gli ultimi anni del Regno delle Due Sicilie videro un grande sviluppo del rapporto con gli Stati Uniti prevalentemente dal punto di vista commerciale. Con l’ Unità, uno dei primi provvedimenti presi già dal 1860 fu la sostituzione del console duosiciliano con uno scelto dalla nuova monarchia. Risultò di spicco la figura del barone Saverio Fava, in questo ruolo.
Il consolato, tra gli ultimi anni dell’ ‘800 e i primi del ‘900, fu spostato in via Nazario Sauro, al seguito della colmata che espanse la città sul mare, con nuovi ed eleganti edifici, soffocando nel cemento l’antico borgo di Santa Lucia.
Una nuova rottura dei rapporti si ebbe con la seconda guerra mondiale, il cui epilogo portò alla fine del Regno d’Italia. Al termine del conflitto, gli Alleati, stabilitisi a Napoli, costruirono la, la Banca d’America, recuperarono l’Istituto dei figli del popolo della Fondazione Banco di Napoli, opera pubblica del Regime, ma mai entrato in funzione a causa della guerra, adoperandolo come base NATO, nel 1954 e, dal 1947 al 1953, sulle ceneri del Grand’Hotel di viale Elena (oggi viale Gramsci), distrutto dai bombardamenti, costruirono il nuovo Consolato Generale degli Stati Uniti d’America, tutt’oggi presente nel bellissimo scenario di Mergellina.
In tempi molto recenti, nel 2011, l’ ambasciatore statunitense David Thorne ha rimarcato il valore e l’ antichità dei rapporti diplomatici con l’ Italia, partiti proprio dall’ antica amicizia con il Regno delle due Sicilie, più di due secoli fa, sottolineando non solo il valore commerciale, quanto quello culturale degli scambi avvenuti con il Sud Italia, che ha lasciato un segno nella storia di entrambi.
I viaggiatori italiani che desiderano fare un viaggio in America, napoletani o no, hanno bisogno di un ESTA USA o di un visto. Contrariamente al visto, l’ESTA USA si può facilmente richiedere utilizzando un modulo di richiesta online-Leonardo Quagliuolo
Riferimenti:
“Architettura degli Americani a Napoli” di Elena Manzo
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