Siamo tutti in attesa dell’inaugurazione della ferrovia Napoli-Bari, che unirà le coste italiane nel 2026 eliminando finalmente un muro che separa le due città da secoli. Eppure, ironia delle date, i lavori sono cominciati ben 180 anni prima.
È infatti datato 2 marzo 1846 il decreto attuativo firmato da Ferdinando II di Borbone in cui si dà inizio alla costruzione della Napoli-Barletta, una ferrovia che nei progetti doveva arrivare inizialmente fino ad Otranto. L’idea della monarchia napoletana era infatti quella di riuscire ad agevolare il passaggio delle merci e delle persone fra i due porti principali del regno continentale, con un vantaggio strategico che non poteva avere nessuno Stato italiano.
Come finì questa storia, purtroppo, è noto.
Un progetto ambizioso per la Napoli-Bari
Il progetto fu presentato dinanzi al Re da un ingegnere pugliese di 36 anni, Emmanuele Melisurgo, il padre del più famoso Guglielmo. Accanto a lui, finanziatori del progetto, c’erano John Pook e David Nunes Carvalho, due impresari inglesi: l’idea di collegare i due porti del Regno era effettivamente molto interessante sul piano economico per tutti gli attori, dato che i costi di trasporto di merci e persone sulla ferrovia avrebbero portato guadagni importantissimi e il Regno delle Due Sicilie avrebbe deviato tantissime rotte commerciali direttamente sulla Puglia, evitando la circumnavigazione di tutta la penisola da parte delle navi straniere. Oltretutto i 300.000 ducati di cauzione (pari a più o meno 20 milioni di euro) sarebbero stati investiti in borsa dallo Stato, in modo da metterli a frutto.
Il decreto del 1846 è molto dettagliato nella definizione del progetto e spiega che, essendo di pubblica utilità, può essere addirittura modificato in ogni momento per la costruzione di altre opere di pubblica utilità come strade o altre infrastrutture strategiche.
Gli ispettori del Re avrebbero poi visionato la sicurezza dei cantieri e dei lavori, oltre a dover valutare anche la qualità dei materiali utilizzati.
Allo stesso modo è molto affascinante la tutela delle antichità: nel comma 5 del decreto, infatti, è proibita categoricamente qualsiasi distruzione di oggetti antichi e di valore culturale.
Per avere una definizione delle dimensioni della ferrovia, il tracciato originale doveva essere molto simile a quello dell’autostrada A16, la Napoli-Canosa. Immaginiamo la difficoltà nel dover scavare decine di gallerie per attraversare gli Appennini centrali e per superare le numerosissime vallate con ponti e supporti stabili capaci di reggere le locomotive dell’epoca! Le tappe intermedie erano Avellino, Ariano Irpino, Lucera, foggia, Canosa, Barletta e Bari. Poi sarebbe stata estesa fino a Brindisi e Taranto.
A distanza di soli 6 anni dall’inaugurazione della prima ferrovia d’Italia, la Napoli-Barletta era un progetto ambiziosissimo e dalle mille difficoltà tecniche che doveva essere costruito in soli 8 anni. Tempi da record che non furono rispettati per mille problemi che sopraggiunsero improvvisamente.
Una ferrovia nata male
Bastarono due anni dal decreto di Ferdinando II per incontrare i primi problemi. Il progetto era stato presentato negli 8 mesi previsti, erano state applicate le correzioni richieste dal re (come ad esempio le tariffe più basse dei biglietti e il trasporto gratuito dei militari) e i lavori furono inaugurati a Bari. Poi arrivarono i moti del 1848 e Melisurgo, che fu fra quelli che chiedevano la costituzione al Re, fu imprigionato e poi scappò in Inghilterra. Nel frattempo, gli investitori inglesi decisero di ritirare le proprie offerte a causa delle tensioni fra Napoli e Londra. Tutto rimandato.
Era il 1855 quando furono ripresi i lavori. Melisurgo tornò in seguito a una amnistia e fondò una società per completare l’opera, addirittura ottenendo la possibilità di costruire ferrovie a Salerno e Taranto, addirittura arrivando fino a Crotone.
E sorse un problema che sembra più attuale che mai. Gustave Delahante, un imprenditore francese che doveva costruire la ferrovia da San Benedetto del Tronto a San Severo di Foggia, fece causa alla ditta di Melisurgo. Intervenne anche un proprietario terriero del luogo, che cominciò ad accampare altre pretese, per non avere i binari nel suo fondo. Come da antica tradizione italiana, insomma, tutto si bloccò in tribunale.
Quando Francesco II con un decreto sbloccò le lungaggini affidando l’appalto a un nuovo imprenditore, il gruppo Talabot, era ormai troppo tardi. Garibaldi arrivò alle porte di Napoli e il Regno delle Due Sicilie chiuse l’ultima pagina della sua Storia.
Con l’Unità, la bussola del Paese cominciò a puntare verso il centro dell’Europa e si investirono risorse sul potenziamento delle comunicazioni fra il Nord e il Sud, lasciando gli Appennini a dividere l’Italia in due.
Dovremo aspettare solo il III Millennio per vedere una luce in fondo al tunnel ferroviario: a distanza di quasi due secoli dal primo progetto, finalmente i due mari del Sud Italia continentale troveranno una comunicazione nel 2026.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Collezioni delle leggi e de’ decreti reali del Regno delle Due sicilie
Amintore Fanfani, Rivista di Economia e Storia, Fratelli Bocca Editore, Milano, 1968
Lucera, la ferrovia e l’Unità d’Italia – Lucera: memoria e cultura (luceramemoriaecultura.it)
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