Non ci si aspetterebbe da un’istituzione religiosa immersa nel verde e nella quiete delle colline del Cilento di trascinare con sè una lunga storia caratterizzata da episodi di adulteri e speculazione, oltre che da innumerevoli passaggi di proprietà. Eppure questo è ciò che è avvenuto per l’antichissima badia di Santa Maria di Pattano.
Un monastero millenario
Poco distante dalla città di Vallo della Lucania, in un’area abitata da secoli sia da greci che da Romani, sorse, attorno all’anno 900, un monastero italo-greco, che oggi è arrivato ad essere il meglio conservato del suo genere in tutta l’Italia meridionale. Fu fondato dal monaco Filadelfo, successivamente santificato.
Col trascorrere del tempo, il monastero divenne un vero e proprio punto di riferimento per la popolazione locale, sia dal punto di vista strettamente religioso che come rifugio per i malcapitati contadini che vivevano nei dintorni e che erano succubi delle numerose guerre ed incursioni susseguitesi nel corso della storia e che hanno avuto luogo in quei territori.
I peccati dell’abate e il declino della badia
Nel 1458, una commissione incaricata dall’allora pontefice Callisto III andò a far visita alla badia di Santa Maria di Pattano, per verificare la loro condotta. Ciò che videro aveva dell’incredibile: furono accolti da uomini armati di tutto punto, reclutati dall’abate e al comando di suo nipote. Era un chiaro tentativo di intimidazione, ma nonostante ciò, gli inviati riuscirono a trarre informazioni dai singoli frati, interrogandoli.
Tra le rivelazioni, la figura più colpita fu proprio quella dell’abate Elia: qualcuno disse che intrattenesse rapporti con molte giovani donne, che venivano condotte nella struttura grazie a dei passaggi ricavati nelle mura perimetrali, qualcun’altro disse che l’abate concedesse in affitto terreni di proprietà del monastero per ricavarne corposi guadagni che avrebbe tenuto esclusivamente per sé, qualcun’altro ancora sosteneva che Elia avesse perfino assassinato un monaco, che aveva minacciato di denunciare questi abusi.
I membri della commissione si recarono di corsa a Roma, impressionati dalle storie che avevano udito e raccontarono tutto al papa in persona, che, senza esitazione, decise di sopprimere la badia. La struttura fu, così, assegnata a Giovanni d’Aragona, figlio del re di Napoli, che tuttavia non ne ebbe particolare cura.
La badia oggi
Dopo Giovanni, la badia passò per le mani di moltissimi altri proprietari, tra cui la famiglia Carafa, dal 1499 al 1609. Ciascuno dei nuovi proprietari si arricchì a spese della struttura, che fu ridotta in condizioni sempre peggiori, sempre più spoglia e lasciata a sé. Solo nel 1806, quest’ultima ebbe un’apparente tregua nella sua travagliata storia, grazie ai provvedimenti presi da Gioacchino Murat, che vedevano i beni ecclesiastici passare in mano allo Stato.
Dopo la fine dell’esperienza napoleonica, la proprietà fu acquistata da un ecclesiastico, Agostino Giuliani, che, però, la trasformò nella propria azienda agricola, cambiando destinazione d’uso alle aree prima destinate alla preghiera. La piccola chiesa annessa al complesso, dedicata a san Filadelfo, tuttavia, continuò a funzionare fino agli anni ’30 del ‘900. Dopodichè, la struttura cadde in stato di totale abbandono. Al suo interno sono ancora visibili antichissimi affreschi.
Nel 1975, l’ingegnere Luigi Giuliani acquistò ciò che resta dell’antica badia e avviò un processo di riqualificazione, che durò molti anni. Oltretutto, dopo il terremoto del 1980, che ha arrecato qualche danno alle rovine, è stato rinvenuto un pavimento appartenente ad una villa romana sottostante la struttura.
Nel 1998, è stata fondata un’associazione che si occupa di promuovere attività culturali che vedono protagonista la badia di Santa Maria di Pattano.
-Leonardo Quagliuolo
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