Carlo Maria Carafa nacque presso Castelvetere, in Calabria, nel 1651. La sua tradizione familiare lo legava ad uno dei casati più importanti del patriziato napoletano: i Carafa. Carlo Maria Carafa costituisce una figura paradigmatica: rappresenta, tramite i suoi interessi culturali, la sua mentalità, le sue azioni politiche e militari, una vera e propria esemplificazione del periodo barocco, imbevuto di una cultura che potrebbe esser definita per alcuni tratti ancora rinascimentale.
Titolatura ed educazione
I suoi natali lo resero tra i membri più titolati tra i nobili delle Spagne: Carlo Maria Carafa fu principe della Roccella, Butera e del Sacro Romano Impero, nonché membro del parlamento Siciliano e Grande di Spagna. Il titolo di “Principe della Roccella” fu ereditato dal suo bisnonno, Fabrizio Carafa, che lo guadagnò per aver difeso i suoi possedimenti dai Turchi nel 1597.
Dallo zio Materno, Giuseppe Branciforte, ereditò invece il principato di Butera e il grandato di Spagna. La sua educazione, sin dalla gioventù, vide avvicendarsi ai normali studi comuni a tutti i nobili dell’epoca anche una vasta gamma di interessi personali, spaziando dalla letteratura al pensiero giuridico, fino ad arrivare all’astronomia e alla matematica.
Gli scritti politici
Questa varietà di interessi rese Carlo Maria Carafa un intellettuale di ampio spessore, ben inserito nei dibattiti scientifici e culturali dell’epoca. Egli alternò, nel suo operato culturale, concezioni politico-religiose tipicamente controriformiste a passioni naturalistico-scientifiche molto all’avanguardia per la sua epoca.
Di particolare interesse appaiono oggi alla critica le sue opere etico-politiche. In esse egli esplica un pensiero politico-religioso che presenta, nonostante la ripresa di molti temi tipici dell’epoca, tratti di forte originalità. Nel suo “L’Ambasciadore Politico-Cristiano” (Van Berge, Mazzarino 1690) il principe illustra quelle che, a parer suo, dovrebbero essere le qualità dell’ambasciatore: prudenza, nobiltà, eloquenza, ricchezza, obbedienza e segretezza.
In tale scritto si esplica un pensiero fortemente influenzato dalle opere di periodo rinascimentale: si pensi a “Il Cortegiano” di Baldassarre Castiglione per quanto concerne l’eloquenza e la nobiltà, o agli scritti del Pontano (forse in maniera peculiare il “De Principe”) per la prudenza e la ricchezza. Vi è inoltre un possibile rimando alla “prudentia” di ciceroniana memoria, intesa come massima virtù dell’uomo politico.
Di particolare interesse risulta il libro terzo, in cui il Principe critica fortemente la ragion di stato come intesa dal Machiavelli. Il Cancelliere Fiorentino viene accusato di non saper distinguere tra giusto e ingiusto, nonché di descrivere una forma di tirannia fortemente nociva nei confronti degli aristocratici e di spiccata vena popolare.
In tale riflessione Carlo Maria Carafa, oltre a dimostrare una ovvia vicinanza a posizioni filoaristocratiche, riprende anche alcuni concetti riscontrabili nelle opere politiche di Platone ed Aristotele, i quali spesso legavano le tirannidi a governi di stampo popolare.
Altro testo degno di nota fu il “Instruttione Cristiana per Principi e Regnanti” (La Barbera, Mazzarino 1687). In esso Carlo Maria Carafa delinea le virtù morali che ogni regnante dovrebbe avere in base ai dettami delle sacre scritture. Testo dalla forte inclinazione controriformistica esso ebbe ampia diffusione presso i circoli nobiliari dell’epoca, tanto da avere anche una traduzione in spagnolo. Il Principe, tramite le sue opere politiche, si pose come caposaldo dell’antimachiavellismo meridionale, forse il suo esponente più di spicco dopo Tommaso Campanella.
L’operato politico di Carlo Maria Carafa
Oltre ad un impegno culturale e letterario l’operato politico di Carlo Maria Carafa fu anche scandito da un attivo coinvolgimento negli eventi dell’epoca: durante la rivolta di Messina e la guerra Franco-Sagnola fu fervente partigiano del re, armando a sue spese 500 dei suoi vassalli e due feluche armate.
Tra i vari incarichi diplomatici che ricoprì negli anni è da ricordare senza ombra di dubbio la consegna della “Chinea” al sommo pontefice Innocenzo XI. La Chinea era il cavallo bianco che ogni anno i monarchi del regno di Napoli offrivano in omaggio al papa. Tale usanza fu introdotta da Carlo I d’Angiò, la sua finalità era quella di onorare il pontefice per la concessione del regno, nonché (almeno presso i primi angioini) di rimarcare lo stretto legame di interessi tra papato e corona partenopea.
Tale tradizione, inizialmente pregna di simbolismi legati al diritto feudale, restò in uso come sopravvivenza della ritualità medievale fino all’epoca di Ferdinando IV, quando fu da lui abolita. Nel seicento la donazione della Chinea era ancora un evento di estrema importanza, legato fortemente alle aristocrazie meridionali. Essa era, all’epoca del Principe, accompagnata da grandi feste e dimostrazioni di sfarzo e ricchezza, nonché da un ingente donativo monetario.
Carlo Maria Carafa ed il diritto: “Gli ordini, Pandette e Costituzioni“
Un altro campo della riflessione del principe Carlo Maria Carafa, oltre quello politologico, fu sicuramente quello giuridico. Esimio lascito di tale operato furono “Gli ordini, Pandette e Costituzioni” emanate per il giusto reggimento dei suoi domini feudali. Esse erano un’eredità del suo antenato Fabrizio Carafa. Egli era stato tra i primi nobili ad occuparsi degli statuti dei suoi domini feudali, principalmente per fronteggiare i forti fenomeni migratori che all’epoca attanagliavano le campagne calabresi.
Era in quel periodo, infatti, che la città di Napoli si stava configurando come “capitale parassitaria”, nel modo in cui fu definita dallo storico Aurelio Lepre. Tali flussi migratori dalle province verso la capitale (ed altre zone maggiormente urbanizzate del regno) continuarono per tutto il seicento. L’operato del Principe va quindi inteso come espressione di necessità pratiche ed economiche, ma non si limita a solo ad esse.
Esso va considerato anche come una grande opera di razionalizzazione e organizzazione dei suoi possedimenti feudali, atta a migliorarne il rendimento e l’efficienza. Ciò fu attuato tramite buone manovre economiche ed organizzative nonché tramite una riorganizzazione degli apparati giudiziari che regolavano la vita dei suoi domini.
La sua opera in tal senso riflette, sotto molti punti di vista, i pensieri già espressi nei suoi scritti politici, attualizzandoli in una visione di un buongoverno di stampo aristocratico, articolato dall’alto e fortemente gerarchizzato.
Gli scritti matematici
Di particolare interesse inoltre i suoi scritti sull’astronomia e sulle meridiane, tra cui è degna di nota la sua opera sugli orologi solari “Exemplar Horologiorum Civilium duas complectens partes. Exponuntur in Vna Verticalia, in Altera varii generis Horizontalia Auctore Carolo Maria Carafa Buterae, Roccellae ac Sacri Romani Imperii Prjncipe”. In tale testo si denotano due sfere di riflessione: una principalmente scientifica e l’altra di natura più spiccatamente politica.
La prima parte del testo è infatti legata allo studio delle meridiane, la seconda è invece focalizzata sullo studio di una “meridiana civile”, atta a scandire la vita di un’intera comunità. Tale meridiana civile avrebbe, secondo il principe “meglio scandito il decorso temporale e la vita sociale nell’agglomerato urbano” (Filippo Racco).
Vi è quindi un’isotomia tra l’ordine civile e quello matematico: una società la cui compagine urbana è costruita e sviluppata secondo dettami scientifici e matematici erediterebbe l’ordine e la perfezione di tali concetti, inverandoli. Si rinnova qui una necessità di regolatezza e compostezza nella compagine sociale che veniva sempre ricercata dal Carafa.
Carlo Maria Carafa e la fondazione di Grammichele
Questa visione etico-urbanistica trovò modo di divenire realtà negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione del testo che la esemplificava. Nel 1693 un devastante terremoto rase al suolo gran parte della Sicilia orientale. Fu occasione per una riforma urbanistica su larga scala alla quale anche il Principe diede il suo contributo.
Il più colpito tra i suoi domini fu il paese di Occhiolà, raso completamente al suolo. Fu quindi premura del principe riedificare la città per dare nuova dimora ai sopravvissuti. A circa due kilometri da Occhiolà fu fondata la città di Grammichele, la cui pianta esagonale fu progettata dallo stesso principe seguendo i disegni della sua “meridiana civile”, atta a scandire la vita dell’intera comunità. Un altro campo della sua eterogenea attività fu quindi quello architettonico ed urbanistico.
Ancora oggi nel paese la figura di Carlo Maria Carafa è molto popolare, essendo considerato il fondatore della città. Morì pochi anni dopo, nel 1695, presso Mazzarino. La sua tomba si trova nella chiesa di Santa Maria di Gesù ivi locata.
–Silvio Sannino
Bibliografia
Filippo Racco, Una codificazione feudale del seicento calabrese; Gli Ordini, Pandette e Costituzioni del Principe Carlo Maria Carafa e il buongoverno dello Stato della Roccella; Edizioni Corab – Gioiosa Jonica 2010
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