Abbiamo già parlato in precedenza del Gigliato angioino e della sua grande popolarità in Europa e nel mediterraneo medievale. Oggi ci concentreremo principalmente su alcuni esempi di politiche monetarie ed economiche adottate dalla corona in un periodo di stabilizzazione e riforma delle strutture politiche ed economiche del regno, inserite a loro volta in un contesto cronologico estremamente vulcanico e magmatico come quello del 300′ Europeo e mediterraneo.
Il Gigliato nel primo periodo di coniazione
La prima coniazione di Gigliati riscontrabile in periodo angioino risale a Carlo II. Gli esemplari monetali afferibili a tale sovrano sono di fino e peso analoghi a quelli del suo successore, tuttavia di disegno più sottile e slanciato. Roberto non cambiò nulla di quanto prescritto dal suo predecessore rispetto alle norme di coniazione dei Gigliati. Tuttavia, quantomeno nelle prime decadi del suo regno, appare abbastanza comune all’interno delle zecche un’accentuata tendenza alla malversazione e alla diminuzione del fino all’interno delle monete.
Scrive a tal proposito Artuto Sambon: “ma, sebbene i regi editti prescrivessero per i Gigliati lega e peso eguali a quelli di Carlo II, accordando per ogni gigliato il rimedio di ¼ d’acino soltanto; gli zecchieri, poco curandosi di quelle ingiunzioni, emisero moneta di scarsa lega e di peso sempre più scadente, sicchè da gr. 3,93 il Gigliato fu ridotto man mano a gr. 3,80 con circa gr. 3,53 di fino e ancor meno”.
Tali malversazioni, già cominciate sotto il regno di Carlo II, vengono interpretate dal Sambon come illeciti compiuti dai banchieri fiorentini in virtù della loro posizione di forza all’interno della finanza del regno: le zecche infatti erano spesso tenute come guarentigia rispetto ai debiti contratti con le banche fiorentine. Probabilmente la prima decade di governo di Roberto d’Angiò fu fortemente contraddistinta dagli ingenti debiti contratti dai suoi predecessori durante la guerra del vespro, quindi caratterizzata da una generalizzata situazione di dissesto economico.
Tuttavia l’azione regia fu abbastanza continuativa ed attenta rispetto alla situazione della moneta nel regno. Il Sambon cita un documento del 1317 contenente un “richiamo” affinché “la moneta fosse veramente iusti et ordinati ponderis”. Sempre nel 1317 fu ordinato di “porre nel campo della moneta un simbolo distintivo che permettesse di determinare le responsabilità degli zecchieri”. In tal modo diveniva più facile rintracciare le zecche in cui le monete venivano svilite in maniera illecita. La più grande riforma monetaria del regno si ebbe però durante il 1320-21, probabilmente per via del sussistere di problemi legati alla circolazione monetaria, denotati da numerose rivolte popolari.
Le accurate ricerche del Sambon riportano in maniera molto precisa le misure penali adottate dalla corona per ristabilire una buona circolazione monetaria: “furono dati ordini severi ai giustizieri per frenare la rasio sive demolitio monetae, assegnandosi il premio di 20 augustali a coloro che denunciassero i falsificatori o tosatori dei carlini”. Una ricompensa esorbitante se rapportata al reddito medio di un contadino dell’epoca. L’entità di tale compenso fa intendere come la corona fosse fortemente determinata nella lotta alla contraffazione o svilimento della moneta, al fine di facilitarne la circolazione.
Oltre a misure di tipo penale furono ovviamente adottate pratiche capillari per la rimozione dalla circolazione dei Gigliati di cattivo conio: “il duca di Calabria, allora vicario generale del reame […] decretò che in tutte le province del Regno fossero eletti quattro ufficiali (ponderatores), incaricati di verificare il peso dei carlini, prescrivendo che tutti quelli inferiori a trappesi 4 ½ – ed erano i più – fossero ritirati dal commercio”. Infine fu decisa l’emissione di un nuovo Gigliato, contraddistinto da un giglio a sinistra del sovrano, di peso e fino di miglior qualità.
Il Sambon insiste su come, all’interno dell’economia del regno, nonostante le iniziative adottate dalla corona, la situazione della circolazione monetaria risultasse ancora molto precaria. A tal proposito cita come prova ultima un documento del 1342, dal quale “apprendiamo che, essendosi verificate nuovi frodi, e trovandosi pesi scarsi appo i mercanti e cambisti, furono fatti eseguire nuovi campioni ponderali e spediti a tutti i giustizieri”.
Tuttavia una visione totalmente pessimistica dell’azione regia risulta parzialmente contrastante rispetto a quanto riportato dallo stesso nelle pagine precedenti: “in un documento del 1326 leggiamo che si era dovuto aumentare il numero degli operai, a cagione della gran copia di gigliati che si coniavano della zecca di Napoli. L’incremento della monetazione d’argento era dovuto al favore che (essa) godeva nell’Oriente latino”.
In modo particolare l’utilizzo massivo del Gigliato nell’oriente turco e latino è sintomatico di un forte riguardo che a tale moneta era riservato in regioni così economicamente fervide, punto d’arrivo di numerosi commerci di lungo raggio. Appare quindi plausibile ipotizzare, vista l’importanza centrale della qualità del fino di una moneta ai fini della sua diffusione, che gli interventi della corona furono quantomeno più fruttuosi di quanto il Sambon immaginasse, visto l’enorme utilizzo del Gigliato in contesti europei e mediterranei.
Anzi, i numerosi provvedimenti adottati dalla corona angioina per incentivare e regolamentare la circolazione monetaria possono essere anche indicativi di una particolare attenzione della stessa su questo aspetto dell’economia del regno, non semplicemente di una situazione di standardizzato e perenne dissesto della circolazione monetaria, non coniugabile, nelle sue interpretazioni più estreme, con la sopracitata diffusione che la moneta napoletana ebbe nel mediterraneo orientale.
Un certo successo delle azioni rege rispetto alla circolazione monetaria è riscontrabile anche tramite la documentazione archeologica: i depositi di Gigliati ritrovati negli ultimi decenni e coevi o immediatamente postumi al regno di Roberto presentano una mancanza quasi completa delle prime coniazioni. La mancanza di tali monete persino in contesti di marcata tesaurizzazione (quindi probabilmente poco intaccati dall’intervento dei funzionari angioini) può essere interpretata come una dimostrazione ulteriore del relativo successo dei provvedimenti regi adottati per migliorare la circolazione monetaria.
Ulteriore indicatore di un relativo successo dell’azione regia è inoltre riscontrabile nei riferimenti di cambio tra il Gigliato napoletano e il fiorino d’oro: “(nel) 1309, rileviamo un valore del fiorino di dodici Gigliati d’argento; negli anni successivi vi fu uno slittamento del Gigliato, che portò il fiorino, nel 1326, alla parità di quattordici Gigliati e mezzo; ma nel 1342 il Gigliato era risalito a quota undici”. Un bilancio che mostra tendenze discontinue tuttavia tendenti, sul medio periodo, a un netto miglioramento.
L’apparato burocratico angioino dovette mostrare a più riprese la sua capacità di penetrazione all’interno della vita economica del regno vista la portata (quantomeno documentale) delle leggi del 1321 rispetto alla circolazione monetaria, rapportata al coevo successo che tale monetazione ebbe in contesti mediterranei, al tasso di cambio con il Fiorino d’oro nonché ai più recenti ritrovamenti archeologici in Italia meridionale, luogo di maggior pertinenza dell’amministrazione angioina.
–Silvio Sannino
Bibliografia
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Sambon A. (1934), Indizi numismatici del fervore artistico dei dinasti medioevali dell’Italia meridionale, Napoli, tip. della r. accademia di archeologia lettere e belle arti
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