Ancora una volta ci troviamo a parlare di re Ruggero II, primo re di Sicilia e fondatore del corpo politico che, seppur in diverse forme e sotto diverse dinastie, giungerà invariato fino al 1861, data dell’unità nazionale. Tornando tuttavia indietro di qualche secolo: nel 1139 la creazione di questo nuovo stato, “inventato” (M. Cantarella) dall’ex conte di Sicilia, era quantomeno territorialmente definita. Si stavano svolgendo infatti le ultime campagne negli Abruzzi, portate innanzi dai figli di Ruggero II.

Tali territori vennero annessi al regno non come conquista bensì, secondo le fonti filomonarchiche, come reintegrazione dell’antico patrimonio (quantomeno rivendicato) del principato di Capua. La memoria storica alla quale ci si andava a riallacciare era quindi quella longobarda, utilizzata strumentalmente dai nuovi sovrani normanni.

Ruggero II
Ruggero II vestito con abiti arabeggianti, soffitto della Cappella Palatina

La finalità era tuttavia diversa dai motivi ideologici descritti nelle fonti ufficiali: l’obbiettivo di Ruggero II era quello di accerchiare le terre pontificie confinanti con i suoi domini. La campagna negli Abruzzi fu brutale ma veloce, quasi una marcia trionfale condotta dai figli del monarca. Per constatare il successo dei figli, ma anche assicurare il pontefice di non voler conquistare alcun territorio del patrimonio di san Pietro, Ruggero II decise, nel 1139, di tornare nella parte continentale dei suoi domini. Sbarcò a Salerno per poi prendere la strada per gli Abruzzi.

Fu nel viaggio di ritorno verso la Sicilia che Ruggero II, ormai generalmente riconosciuto come legittimo re del meridione, si fermò a Napoli. Il monarca normanno aveva avuto, fino ad allora, un rapporto conflittuale con la città: Napoli si era inizialmente concessa pacificamente alle armate del sovrano, spaventata dall’enorme assedio imbastito per sottomettere Salerno. Tuttavia, con gli alterni destini delle campagne militari del monarca, sorse nella città una vena ancora legata all‘indipendenza del periodo ducale, espressa tuttavia per l’ultima volta proprio in occasione dell’assedio biennale (1135-1137) che portò alla capitolazione della città.

Nei successivi anni la città divenne subito parte integrante dei domini normanni: il titolo di “duca di Napoli” divenne dinastico dei primogeniti della famiglia reale e la città, inserita nei traffici commerciali provenienti dalla Sicilia, andò ad integrarsi con gli altri territori del regno. La città, ormai ripresasi dalle ferite inferte durante la guerra, fu pronta ad accogliere il re con fasti inusitati.

1/2 follis fatto coniare dal duca Stefano II dopo il 763 con al dritto il busto di S. Gennaro 

L’entrata trionfale di Ruggero II a Napoli

Il re entra in città da porta Capuana, seguito da uno stuolo di popolo che gli tributa grandi onori. Quattro nobili sostenevano le redini del cavallo del re, altri quattro lo seguirono in città fino al vescovato. In tutto questo tripudio di lodi e dimostrazioni di giubilo popolari il ruolo del clero non poteva venir meno: esso seguì il re assieme ai nobili sin dal suo ingresso in città, levando inni e lodi al cielo di ogni genere”. Le implicazioni ideologiche del corteo reale erano palesi: la nobiltà, protettrice degli interessi locali e il clero, propugnatore della religiosità tradizionale, accolsero e lodarono il nuovo monarca.

In tal modo Ruggero II, lo spietato conquistatore che qualche anno prima aveva affamato la città, andava a configurarsi come protettore degli interessi locali e tradizionali di una delle tante comunità semi-indipendenti che facevano parte del suo regno. Il giorno seguente il monarca compì la cavalcata rituale per le strade della città: in tal modo conobbe la Napoli e, tramite tale conoscenza, ne prese simbolicamente possesso. In seguito giunse in barca al castello del Santissimo Salvatore, oggi Castel dell’Ovo. Anche qui le implicazioni simboliche sono lapalissiane: “Napoli, città di terra e di mare, è posseduta per terra e per mare”.

Una ipotetica ricostruzione del Palazzo Ducale di Napoli, oggi sostituito dal convento di San Marcellino

L’ultimo giorno di permanenza in città il re escogitò un grande stratagemma per stupire la cittadinanza: la sera prima Ruggero II aveva ordinato di far misurare l’estensione della città. Il giorno dopo chiese pubblicamente ai cittadini quanto fosse grande la loro città. Il popolo rimase muto: nessuno si era mai posto il problema di misurare la grandezza della vetusta città. E allora fu lo stesso re a rispondere rispetto tale quesito: la città misurava 2.363 passi. La sapienza dimostrata dal re costituiva, agli occhi del popolo, la massima dimostrazione di interesse e tutela nei confronti della città.

Scrive un cronista dell’epoca: “il popolo napoletano andava ripetendo che il re era il più sapiente ed il più scrupoloso di tutti i suoi predecessori, e si meravigliava di come avesse fatto, intorno alla misura della città, quello che nessun altro aveva fatto prima di lui”. Finiva così l’illustre epopea della Napoli ducale. Tale fine costituì tuttavia costituiva un nuovo inizio, l’inizio della storia di Napoli nel regnum Siciliae.

Silvio Sannino

Bibliografia

G. M. Cantarella, Ruggero II: il conquistatore normanno che fondò il Regno di Sicilia, Salerno editrice, 2020

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