Carlo I

Nel seguente articolo si cercheranno di esplicare, a grandi linee e con intenti meramente divulgativi, i motivi ideologici legati all’ascesa al trono di Sicilia di Carlo I, senza pretese di esaustività, tuttavia cercando di evidenziare i tratti salienti dell’apparato autorappresentativo imbastito dal primo angioino.

La conquista del Regno di Sicilia da parte di Carlo I comportò la costruzione di un imponente apparato iconografico ed ideologico. La necessità di autocelebrazione e creazione identitaria, comune in un certo modo a tutte le stirpi regali europee, divenne ben più pressante per il monarca d’oltralpe, dovendo egli confrontarsi con la pesante eredità sveva.

Federico II fu tra i monarchi che più rifletterono e costruirono sulla loro immagine , forte non solo di ingenti risorse economiche, ma anche di un grande seguito di uomini di cultura capaci di inverare e strutturare la sua visione. Il sovrano angioino si mosse quindi su un duplice terreno: da un lato, specialmente dal punto di vista ideologico, si distanziò quanto più possibile dal passato svevo, servendosi ampiamente dell’eredità dinastico-culturale della corte di Francia.

Sotto un profilo meramente istituzionale, tuttavia, apportò modifiche dal peso molto relativo all’apparato amministrativo, mostrandosi inoltre solerte nel difendere le prerogative regie ereditate dagli Svevi, come il tributo dovuto dal sovrano di Tunisi, o la sovranità sulla corona d’Albania .

Una delle maggiori e più efficaci fonti per comprendere l’articolazione dell’apparato ideologico del primo angioino è la Descrpitio victoriae Karoli redatta in Francia dopo il 1272 per Pietro conte d’Alençon, nipote di re Carlo I, da Andrea D’Ungheria, cappellano dei re d’Ungheria Stefano V (1239-72) e Bela (1235-70) . In essa vengono descritte tutte le tappe che portarono il primo angioino alla conquista del Regno: dalla campagna contro i Ghibellini nel Nord Italia sino alla fatidica battaglia di Benevento .

I contendenti per la corona di Sicilia appaino quantomai distanti, ritratti in un’insanabile dicotomia i cui tratti marcati sono sunto di decenni di propaganda ecclesiastica anti-sveva. La Descriptio riprende numerosi versetti delle Sacre Scritture per impregnare la sua narrazione di ieraticità. Carlo I è dipinto come una figura salvifica, pressappoco messianica, discendente di Carlo Magno, quindi ultimo rampollo della beata stirpe dei re franchi pronto, come il suo illustre avo, a scacciare gli eretici che minacciano la Santa Chiesa:


procedendo dai lombi di quell’illustre di nome Carlo Magno, come pietra offesa, come pietra di scandalo per la rovina e risurrezione di molti, percuota con tanta forza Manfredi, esecrabile rampollo della vite maledetta, come la statua di Nabucodonosor, sì da portargli via […] il regno di Sicilia, il ducato di Puglia, il principato di Capua e tutte le sue cose, ma anche sua moglie, la nipote e le figlie, delle quali si potrebbe temere la discendenza della sua successione di vipera e lo si sappia dovunque; Carlo sarà l’atteso delle genti .


Il compito di Carlo I era quindi non solo quello di scacciare gli Svevi dal Regno, ma persino di distruggere quella «vite maledetta» che governò il Mezzogiorno contro il volere della Chiesa, estirpandola dalle radici e mutilando la sua discendenza. L’edificio ideologico costruito dall’Ungaro è quindi non solo una contrapposizione tra re, ma un vero e proprio scontro tra dinastie: la prima, quella angioina, benedetta da una stirpe di santi e difensori della Chiesa; l’altra, la Sveva, corrotta dalla discendenza di un imperatore scomunicato, accostato dalla Chiesa alla figura dell’anticristo.

Se Carlo I viene definito «l’atteso delle genti» al suo avversario è serbato un giudizio diametralmente opposto; egli viene ritratto come vile e fratricida , un novello Caino, sovrano scomunicato e ingrato dei doni offerti dalla Chiesa . La spedizione contro Manfredi acquisì un valore fondante per i primi angioini. Le vittorie di Tagliacozzo e Benevento non furono altro che dimostrazioni del favore divino di cui la dinastia godeva, premiata dalla provvidenza per l’impegno da essa devolto nello scacciare dal regno di Sicilia un nemico tacciato non solo di eresia, ma persino di paganesimo.

Manfredi fu infatti canzonatoriamente definito dal primo angioino come il «soltam de Nocere» ,per via degli insediamenti arabi di Lucera. Accostando la figura di Manfredi all’eresia ed al paganesimo Carlo I non fece altro che rendere la sua spedizione di conquista una vera e propria crociata . Lo spirito crociato era un elemento ideologico non desueto alla dinastia Sveva, tuttavia acquistò presso gli angioini un peso ben diverso: da Carlo I sino a Carlo di Calabria, figlio ed erede di Roberto d’Angiò, tutti i re di Sicilia presero la croce .

Era questa un’ulteriore eredità della corte di Francia, la cui immagine era sovente ammantata dall’impegno crociato e dalle virtù cavalleresche. Questo aspetto dell’apparato ideologico angioino andò ulteriormente ad accrescersi con l’acquisizione, da parte di Carlo I, dei diritti della corona di Gerusalemme . La conquista della Palestina avrebbe dovuto essere il primo passo di una politica Siriana e Nordafricana , che tuttavia non ebbe luogo.

Se l’acquisizione del regno fu, dal punto di vista politico e militare, relativamente inconseguente, ebbe tuttavia un enorme peso nell’autorappresentazione della dinastia. La missione sacra della stirpe angioina potevaaggiungere così un nuovo, consistente, tassello. Per un sovrano mediterraneo il possesso, anche solo nominale, della corona di Gerusalemme poteva renderlo, agli occhi della cristianità europea, un punto di riferimento imprescindibile.

Il peso ideologico del possesso della Terrasanta si caricava non solo di memorie coeve, cioè quelle crociate e religiose che infervoravano ormai da secoli l’intera cristianità europea, ma anche di elementi sacri e ieratici. Il sovrano di Gerusalemme appariva agli occhi dell’Occidente cristiano come un nuovo Salomone, destinato a scacciare gli infedeli dalla Terrasanta. L’acquisizione del regno di Gerusalemme assunse, per la casata d’Angiò, un’importanza tale da causare un cambiamento nella loro stessa araldica.

Una preziosa testimonianza proviene dalla documentazione numismatica. Il Saluto d’argento, principale valuta coniata sotto Carlo I, per la cui realizzazione dal punto di vista ponderale ed artistico fu direttamente coinvolto , presentava sul dritto la scena dell’annunciazione mentre, sul rovescio, vi era lo stemma della dinastia, sul quale figuravano non solo i gigli della casata, ma anche la croce potenziata simbolo di Gerusalemme . Quest’ultima, nel corso dei secoli, diverrà simbolo araldico dello stesso regno di Napoli.

Silvio Sannino

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