Il San Ludovico di Tolosa che incorona Roberto d’Angiò di Simone Martini è l’opera più rappresentativa del Trecento napoletano, sicuramente tra i capolavori dell’artista e tra le più grandi commissioni della corte angioina. La monumentale pala d’altare era probabilmente ubicata in una cappella laterale della chiesa di San Lorenzo Maggiore, la sua originale collocazione rimane tuttavia motivo di dibattito presso gli studiosi.
Fu commissionata da Roberto d’Angiò per commemorare la santificazione di suo fratello maggiore, Ludovico, secondogenito di Carlo II. Il futuro santo, dopo aver subito le fascinazioni del mondo francescano, decise di seguire la sua vocazione di fede a dispetto delle sue responsabilità dinastiche. Gli fu assegnata la cattedra vescovile di Tolosa, importante città mercantile dei domini provenzali angioini.
Dopo la sua morte fu santificato nel 1317, nel quadro di una più generale collaborazione ideologica e politica tra Chiesa e stirpe angioina. La casata d’Angiò poteva così aggiungere un nuovo santo al suo beato lignaggio di beati e crociati, accrescendo ulteriormente quello che fu uno dei maggiori motivi ideologici legati alla casata d’Angiò: quello della Beata Stirps, caposaldo dell’autorappresentazione angioina sin dai tempi di Carlo I.
Il San Ludovico di Tolosa: analisi stilistica e compositiva
L’opera dimostra la grande forza artistica di Simone Martini, tra i più importanti pittori toscani dell’epoca. La scena rappresentata vede, in posizione centrale, San Ludovico di Tolosa, con saio francescano ma coperto da un ricco piviale in seta, probabilmente orientale, e recante sul capo un’opulenta mitra, identificata spesso con la mitra di Amalfi. Al di spora di essa due angeli incoronano il santo, ammantato da un’aureola che, nei suoi particolari, imita i motivi della coeva oreficeria, così cari alle opere del pittore senese.
L’incoronazione mai avvenuta in terra viene concessa a San Ludovico di Tolosa per volontà divina. Il piviale, appuntato sul petto del santo da un monile recante i gigli angioini e la croce di Gerusalemme, accostamento araldico simbolo della dinastia, ricade con grazia sulle gambe del santo, lasciando ben esposto il saio con cordone tipico dei francescani. Il santo impugna un pastorale d’oro, probabilmente di fattura provenzale o senese.
In una composizione per noi ossimorica, ma totalmente consona al francescanesimo regale della casata d’Angiò, lusso e povertà si fondono in un meraviglioso manifesto della propaganda regia. Il santo, secondo un procedimento simbolico tipico del medioevo, prende quasi l’intera scena e viene raffigurato frontalmente. Il fratello, re Roberto, viene ritratto alla destra di San Ludovico di Tolosa, in atto di devota preghiera.
Il sovrano, di dimensioni minori rispetto al santo, viene raffigurato con tratti somatici di forte realismo: nell’opera di Simone Martini potrebbe esser presente una delle prime rappresentazioni di un re europeo compiuta tramite canoni realistici, piuttosto che simbolici. Ciò sarebbe del resto in linea con la generale tendenza al realismo tipica della coeva pittura toscana.
Il San Ludovico di Tolosa: analisi ideologica e iconografica
L’opera di Simone Martini può avere più livelli di lettura dal punto di vista ideologico. Il primo, spesso sottolineato dagli studiosi, è quello dinastico: tramite una tale raffigurazione il re di Sicilia avrebbe provato a scagionarsi da possibili problematiche di successione. Roberto d’Angiò era infatti il terzogenito di Carlo II: il primogenito, Carlo Martello d’Angiò, morì prima di poter ascendere al trono e a suo figlio, ancora minorenne, fu data la corona d’Ungheria, un dominio che fu tutt’altro che facile da render saldo. Della sorte di San Ludovico di Tolosa si è già detto.
Tramite una tale rappresentazione il re voleva quindi sottolineare la sua legittimità dinastica, legandosi alla figura del suo santo fratello. L’accostamento, tuttavia, potrebbe anche derivare non da stringenti necessità d’autolegittimazione, ma da un più ampio progetto ideologico, di portata dinastica, atto a sottolineare l’elezione divina della dinastia. Tale elezione veniva comprovata dalla presenza di un nuovo anto nella già folta schiera degli antenati di Roberto, e iconograficamente rappresentata da una doppia incoronazione, celeste e terrena.
–Silvio Sannino
Bibliografia
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Vagnoni M., Roberto d’Angiò nella gloria della Morte: il ‘San Ludovico di Tolosa’ di Simone Martini, «Eternal Sadness: Representations of Death in Visual Culture from Antiquity to the Present Time», Eikon Emago, 10 (2021), pp. 241-257.
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