Anna Maria Ortese, nata a Roma nel 1914 e deceduta a Rapallo nel 1998, è uno dei maggiori esempi di scrittura femminile del XX secolo ed ha lasciato il segno nella letteratura napoletana.

Infatti, stabilitasi nella città partenopea all’età di 14 anni, collaborò presto qui con molteplici quotidiani e riviste, dedicandosi poi alla stesura di opere letterarie che vedono Napoli ora come sfondo, ora come soggetto, delle vicende narrate.

anna maria ortese

“Il mare non bagna Napoli”: una raccolta di Anna Maria Ortese

Nonostante Anna Maria Ortese si spostasse per tutt’Italia, inseguendo il sogno letterario, non abbandonò mai veramente le radici partenopee, specialmente quando si ritrovava a scrivere racconti o documenti di carattere giornalistico. Fu con una raccolta di narrazioni di vario tipo, le quali vedono, infatti, Napoli protagonista, che l’autrice vinse il premio Viareggio. L’opera, difficile da incasellare in un genere preciso, prende il titolo de “Il mare non bagna Napoli”.

“Un paio di occhiali”

Diviso in cinque capitoli, il libro si apre con il racconto “Un paio di occhiali”, un testo allegorico che vede protagonista una bambina, Eugenia. La piccola, affetta da miopia, attende con ansia il giorno della consegna dei suoi occhiali, che le permetteranno finalmente di vedere il mondo, fino ad allora sfocato e sbiadito, attorno lei. Eugenia vive in una realtà, quella partenopea, povera e difficile, con la quale, però, non è mai realmente venuta a contatto a causa della miopia.

Questi benedetti occhiali […] le avrebbero permesso di vedere tutte le persone e le cose nei loro minuti particolari. Fino allora, era stata avvolta in una nebbia: la stanza dove viveva, il cortile sempre pieno di panni stesi […]. Solo il viso dei familiari, la mamma e specialmente i fratelli, conosceva bene […]

– “UN PAIO DI OCCHIALI”, ANNA MARIA ORTESE

Eugenia attende con ansia di scoprire un mondo che è riuscita a intravedere per bene solo quando ha provato gli occhiali nel negozio di ottica, avvertendolo come bellissimo. La sua illusione di venire a contatto con una realtà meravigliosa, viene, però, disattesa quando, indossati finalmente gli occhiali e osservando il cortile di casa sua, nota lo squallore in cui si trova.

Dalla meraviglia al disincanto: Eugenia vede muri rovinati, rifiuti per terra, persone dai visi imbruttiti dalla miseria e dalla rassegnazione. La conseguenza è che la bambina si piega in due e vomita, scossa dall’orrore inaspettato della realtà oscena a cui appartiene.

Allegoricamente, il racconto allude al desiderio dell’intellettuale di avere una chiara comprensione del mondo in cui si muove, e gli occhiali simboleggiano l’oggetto magico che permetterebbe di uscire da una condizione di ignoranza. Forse, però, in questa è meglio restarci, piuttosto che scoprire una dimensione deludente e amara.

La negatività di un racconto del genere non sorprende: Anna Maria Ortese scrisse il suo “Il mare non bagna Napoli” proprio perché detestava la realtà a cui apparteneva, probabilmente anche a causa dell’esperienza della guerra e dei suoi effetti sulla società.

“Il sonno della ragione”

Il tema della realtà desolata e priva di senso con cui l’intellettuale viene a contatto senza riuscire a far nulla per cambiarla, se non distaccandosene, è presente anche nell’ultimo dei cinque racconti, “Il sonno della ragione”.

La ragione dormiente a cui allude il titolo è quella degli intellettuali napoletani del dopoguerra, i quali, secondo la Ortese, si abbandonano all’ “involuzione”, anziché lottare per un rinnovamento sociale e culturale a Napoli. Autori come Luigi Compagnone, Pasquale Prunas e Domenico Rea si convinsero illusoriamente, dal punto di vista della scrittrice, di risollevare la città campana. Per Anna Maria Ortese, invece, la loro ragione “taceva in un silenzio assoluto, temendo di rompere con una benché minima osservazione l’equilibrio su cui ancora la borghesia si reggeva”. Gli intellettuali napoletani a lei contemporanei “dormivano da Torre del Greco a Cuma”, anziché svegliare le coscienze e impegnarsi nella denuncia sociale, culturale e politica.

L’ “addio” a Napoli

La pubblicazione di questa raccolta, soprattutto a causa del contenuto dell’ultimo racconto, portò la Ortese a inimicarsi gli intellettuali napoletani (alcuni di loro erano stati accusati esplicitamente nel testo finale). L’autrice si costrinse a lasciare la città, anche se solo fisicamente: Napoli torna nuovamente protagonista nel “Porto di Toledo. Ricordi della vita irreale” (1975) e ne “Il cardillo addolorato” (1993).

Il primo romanzo è un’autobiografia velata, in cui si racconta la storia di una donna, dall’infanzia alla maturità, in un mondo in cui la realtà vera e propria si confonde con quella del sogno (la Ortese si uniformò qui alla corrente letteraria del realismo magico).

Il secondo, invece, si ambienta nella Napoli settecentesca: la bella Elmina nasconde un segreto legato alla morte di un cardillo e di una sorella; nessuno degli uomini che la circonda riesce a farle svelare il segreto.

Gli anni d’oro della carriera di Anna Maria Ortese furono vissuti a Milano: nel 1967 vinse anche il premio Strega con la narrazione “Poveri e semplici” (con protagonista un’artista in cerca di affermazione; numerosi sono gli accenti autobiografici).

Nel 1975 l’autrice si trasferì a Rapallo, in provincia di Genova, dove continuò a dedicarsi alla scrittura, fino alla morte nel 1998.

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