Il manoscritto Yates Thompson, conservato ad oggi alla British Library di Londra, è una copia miniata della Divina Commedia, commissionata e dedicata ad Alfonso V d’Aragona, re di Napoli dal 1443 al 1458.
Il testo risale agli anni ’40-’50 del XV secolo e fu decorato dai disegni di due miniatori: il primo, anonimo, prende il nome di “Maestro dello Yates Thompson”. Il secondo, probabilmente, fu voluto da Alfonso il Magnanimo in persona: il suo nome era Giovanni Di Paolo.
Lo Yates Thompson e Giovanni Di Paolo
E’ lecito credere che, in origine, il manoscritto non fosse nato dalla richiesta del sovrano napoletano, ma dalla committenza di un diverso mecenate. Una testimonianza a riguardo è data dalla miniatura raffigurante lo stemma aragonese al margine inferiore della prima carta. Fu, infatti, Giovanni Di Paolo ad aggiungere questo disegno, nel momento in cui venne in possesso della copia. Questo significa che il primo miniatore non aveva illustrato nulla che si riferisse agli Aragonesi perché, originariamente, il testo non era dedicato a loro.
Alcuni studi sostengono, quindi, che il cambio di miniatore fu dovuto ad un cambio di committenza: dal momento che il testo doveva finire nelle mani degli Aragonesi, Alfonso V volle Giovanni Di Paolo come illustratore.
Quest’ultimo non miniò unicamente lo stemma aragonese, ma aggiunse una serie di disegni gravati di implicazioni encomiastico-propagandistiche all’interno dell’intero progetto illustrativo del Paradiso dantesco.
La miniatura del canto III del Paradiso
Nel terzo canto del Paradiso, Dante e Beatrice si trovano all’interno del Cielo della Luna e incontrano due anime, Piccarda Donati e Costanza D’Altavilla. Queste donne raccontano di non aver adempiuto al voto di castità da loro fatto. Infatti, erano state strappate via dal loro convento con la forza, l’una dal fratello Corso Donati, l’altra dal futuro marito Federico Barbarossa, affinché si sposassero.
Nella miniatura dello Yates Thompson allestita da Giovanni Di Paolo, la parte sinistra è dedicata alla raffigurazione di Piccarda e Costanza tirate fuori dal convento. La parte destra, invece, è allusivamente una dedica agli Aragonesi. Si vede, infatti, Corradino di Svevia, figlio di Costanza, che assedia la città di Napoli e, tra le sue gambe, Di Paolo aggiunse il simbolo dello stemma aragonese. L’intenzione del miniatore fu, dunque, quella di attualizzare un’impresa del passato (Corradino che conquistò, nel 1251, Napoli) e paragonarla a quella fatta da Alfonso V. Anche lui, difatti, assediò la città campana (anche se quasi due secoli dopo).
L’immagine di sinistra chiama quindi in causa il committente-destinatario dello Yates Thompson, Alfonso V, re di Napoli negli anni in cui fu allestito il codice.
Il Paradiso VI nello Yates Thompson
Nel canto VI del Paradiso, Dante e Beatrice si trovano nel cielo di Mercurio, dove vi sono le anime di coloro che in vita si impegnarono per ottenere fama e onori terreni. Dante dialoga con Romeo di Villanova, ex primo ministro del Conte di Provenza Raimondo Berlinghieri, il quale poi lo mandò in esilio. Romeo, infatti, fu cacciato nonostante avesse fatto sposare le quattro figlie di Raimondo con quattro sovrani eccelsi.
Nella miniatura di Giovanni Di Paolo, la parte alta dell’immagine è riservata a Dante, alla sua guida e a Romeo di Villanova, mentre, in basso, vi sono le quattro figlie di Raimondo con i rispettivi mariti. I quattro sovrani sono identificati attraverso gli stemmi posti innanzi a loro, tra cui uno aragonese.
In realtà, nel testo dantesco non è specificato a quali re vadano in sposa le figlie di Raimondo. Quest’informazione, probabilmente fu ricavata da Di Paolo attraverso la lettura di un commento anonimo alla Commedia (“l’Ottimo commento”), in cui, però, non si menzionava alcun sovrano aragonese.
Nella miniatura, invece, Giovanni Di Paolo raffigura, al posto del re di Cornovaglia, uno Aragonese, aggiungendone l’apposito stemma.
Il canto VIII del Paradiso e lo Yates Thompson
Nel canto VIII del Paradiso, Dante e Beatrice si trovano nel cielo di Venere e incontrano gli spiriti amanti, ovvero coloro che in vita sentirono con particolare intensità l’impulso amoroso, sfruttandolo, però a fin di bene. Dante dialoga con uno di loro, Carlo Martello, il quale gli racconta le imprese da lui svolte in vita e le guerre combattute.
Giovanni Di Paolo scelse di miniare, nel lato superiore della vignetta, Dante, Beatrice e Carlo Martello a dialogo, mentre in basso una battaglia. Sono raffigurati i francesi contro gli spagnoli, ovvero uno dei combattimenti guidati da Carlo Martello contro la Spagna. Poiché il manoscritto doveva finire nelle mani di uno spagnolo, Di Paolo disegnò unicamente gli stemmi aragonesi sugli scudi di alcuni soldati, mentre quelli dei francesi non presentano alcun segno di riconoscimento.
Giovanni Di Paolo sapeva bene, dunque, che il re non avrebbe gradito di ritrovare gli stemmi della casata francese sul suo manoscritto.
Il canto XIX del Paradiso
Infine, un’altra miniatura a sfondo encomiastico nei confronti di Alfonso V, è quella a Paradiso XIX, nel Cielo di Giove. Dante e Beatrice incontrano le anime di coloro che sulla terra perseguirono la giustizia.
Dante elenca tredici cattivi principi cristiani, mentre, nella miniatura, Giovanni Di Paolo ne raffigura solo dieci, tutti riconoscibili, a eccezione di quelli aragonesi. Se l’illustratore avesse rappresentato, tra i sovrani che non governarono bene in vita, anche alcuni aragonesi, ciò sarebbe stato certamente motivo d’offesa per Alfonso V.
L’intento del miniatore era sia quello di omaggiare la casata d’Aragona, sia quello di mettere in evidenza che, tra i cattivi principi cristiani, vi erano quelli francesi (individuabili tramite lo stemma), ovvero i nemici degli aragonesi.
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