Immaginate di camminare per le strade di Napoli, ma invece dell’odore di pizza e caffè, di sentire il profumo di incenso che sale dai templi e il vociare in greco antico che risuona nell’agorà. Benvenuti nella Neapolis del V secolo a.C., quando la città era una fiorente colonia greca e la vita quotidiana seguiva ritmi e tradizioni che oggi ci sembrano lontanissimi, eppure affascinanti.

Il risveglio all’alba: la giornata inizia presto

La giornata di un cittadino di Neapolis iniziava con l’alba. Non c’era elettricità, quindi si seguivano naturalmente i ritmi del sole. Le case greche, come ci racconta Capasso nel suo studio sulla topografia antica, erano costruite attorno a cortili interni per proteggere dalla calura estiva e dai venti invernali. Al mattino, le famiglie si riunivano in questi cortili per la colazione: pane d’orzo intinto nel vino diluito con acqua e miele, olive, formaggio di capra e fichi secchi.

Le donne, che raramente uscivano di casa se non per cerimonie religiose o per andare alle terme, iniziavano la giornata supervisionando i servi nelle faccende domestiche. Gli uomini liberi, invece, si preparavano per recarsi all’agorà, il centro pulsante della vita pubblica cittadina.

L’agorà: Wall Street dell’antichità

L’agorà di Neapolis si trovava probabilmente nella zona dell’attuale San Paolo Maggiore, dove ancora oggi sono visibili i resti del tempio dei Dioscuri. Era qui che si svolgeva la vera vita della città: mercanti che discutevano contratti commerciali con la Sicilia e la madrepatria greca, artigiani che esponevano le loro ceramiche dipinte, filosofi itineranti che tenevano lezioni sotto i portici.

Il mercato era un’esplosione di colori e profumi: spezie dall’Oriente, vino di Chio e Lesbo, olio d’oliva dell’Attica, tessuti pregiati, gioielli in oro e argento. Ma non era solo commercio: l’agorà era anche il luogo dove si discuteva di politica, si prendevano le decisioni importanti per la città, si organizzavano le feste religiose.

Una curiosità affascinante: i Napoletani dell’epoca usavano ancora un sistema di misure derivato da quello euboico (dall’isola di Eubea), diverso da quello attico. Questo ci dice quanto fossero orgogliosi delle loro origini e quanto tenessero alle tradizioni dei primi fondatori cumani.

Il ginnasio: l’università dell’epoca

Uno degli aspetti più sorprendenti della Neapolis greca era l’importanza data all’educazione fisica e intellettuale. Il grande ginnasio, situato secondo Capasso nella zona dell’attuale Via Depretis, non era semplicemente una palestra, ma un vero e proprio centro culturale dove i giovani cittadini trascorrevano gran parte della giornata.

Al mattino si esercitavano negli sport tipici greci: corsa, lotta, lancio del disco e del giavellotto, pugilato. Nel pomeriggio studiavano retorica, filosofia, matematica e musica. L’educazione greca puntava sull’ideale del “kalòs kai agathós” (bello e buono): un cittadino completo doveva essere forte nel corpo e colto nella mente.

Gli allenatori e i maestri erano figure rispettatissime. Molti di loro venivano direttamente dalla Grecia e portavano a Neapolis le ultime tendenze filosofiche e scientifiche di Atene o di altre città famose per la loro cultura.

Le terme: il social network dell’antichità

Uno degli aspetti più socializzanti della vita napoletana erano le terme pubbliche. Non si trattava solo di lavarsi (cosa che comunque non tutti facevano quotidianamente), ma di incontrarsi, fare affari, pettegolare, discutere di politica. Le terme erano divise per sessi e per classi sociali, ma rappresentavano comunque uno dei pochi luoghi dove le barriere si abbassavano un po’.

Le donne, che raramente potevano partecipare alla vita pubblica, trovavano nelle terme femminili uno spazio di libertà relativa. Qui si scambiavano notizie, si organizzavano matrimoni, si discuteva di figli e di casa. Per molte era l’unico momento della giornata in cui potevano uscire dal controllo diretto del padre o del marito.

I mestieri: una città di artigiani

Neapolis era famosa in tutto il mondo antico per la qualità dei suoi artigiani. I quartieri erano organizzati per mestieri: c’era la strada dei vasai, quella dei fabbri, quella dei tessitori. Ogni corporazione aveva le sue divinità protettrici, le sue feste, le sue regole interne.

I ceramisti napoletani erano particolarmente apprezzati. Producevano non solo oggetti d’uso quotidiano, ma anche splendide ceramiche a figure rosse che esportavano in tutto il Mediterraneo. I loro laboratori, situati probabilmente nella zona dell’attuale Forcella, erano veri centri di produzione artistica.

Un dettaglio curioso: gli artigiani napoletani avevano sviluppato tecniche proprie, diverse da quelle della madrepatria greca, influenzate dal contatto con le popolazioni italiche locali. Questo sincretismo culturale rendeva i prodotti napoletani unici e ricercati.

Le feste religiose: quando la città si fermava

La vita religiosa scandiva il calendario napoletano. Ogni mese c’erano feste dedicate a diverse divinità: Atena protettrice della città, Dioniso dio del vino e della fertilità, Apollo dio della musica e della profezia. Durante queste feste, tutta la città partecipava: processioni solenni, sacrifici di animali, gare poetiche, competizioni atletiche.

La festa più importante era probabilmente quella in onore di Partenope, la sirena mitologica che aveva dato il nome alla città vecchia. Durante questi giorni, i Napoletani si recavano in processione verso Castel dell’Ovo (allora chiamato Megaride) dove, secondo la leggenda, era sepolto il corpo della sirena.

La sera: teatro e simposio

Quando il sole tramontava, la vita sociale non finiva. I cittadini più ricchi organizzavano simposî, banchetti dove si beveva vino, si recitava poesia, si discuteva di filosofia. Non erano semplici cene, ma veri rituali sociali con regole precise: quanto vino bere, come diluirlo con l’acqua, quali argomenti trattare.

Il teatro greco di Neapolis, i cui resti sono ancora parzialmente visibili, ospitava regolarmente spettacoli. Non solo tragedie e commedie classiche, ma anche opere di autori locali che mescolavano temi greci con riferimenti alla realtà campana. Assistere a uno spettacolo teatrale era considerato un dovere civico, non solo un divertimento.

Le contraddizioni di una società complessa

La Neapolis greca non era certo un paradiso. Come tutte le città antiche, era una società basata sulla schiavitù, dove le donne avevano diritti limitatissimi e dove la democrazia era riservata a una minoranza di cittadini maschi liberi. Eppure, per gli standard dell’epoca, era una città straordinariamente aperta e cosmopolita.

Qui convivevano Greci di varie stirpi, Italici progressivamente ellenizzati, mercanti stranieri, schiavi di ogni provenienza. Questa mescolanza creava una cultura unica, diversa sia da quella della Grecia propriamente detta sia da quella delle altre colonie della Magna Grecia.

Un’eredità che vive ancora

Passeggiando oggi per il centro storico di Napoli, molte caratteristiche della vita quotidiana greca sopravvivono in forme trasformate. L’importanza della piazza come luogo di incontro, l’amore per la discussione e il dibattito pubblico, la passione per la bellezza e per l’arte, il ruolo centrale del cibo nella socializzazione: tutto questo ha radici che affondano in quella Neapolis di 2500 anni fa.

La prossima volta che vi trovate in Piazza San Gaetano o che passeggiate lungo Via dei Tribunali, ricordatevi che state camminando esattamente dove i vostri antenati greci discutevano di filosofia, facevano affari, si innamoravano e costruivano quella straordinaria civiltà urbana che è arrivata, trasformata ma riconoscibile, fino a noi.


Bibliografia: Capasso, Bartolommeo. Napoli Greco-Romana: esposta nella topografia e nella vita. Opera postuma a cura della Società napoletana di storia patria. Napoli: Pierro, 1905.

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