Tutto ciò che resta di quella sera del 1942, un piccolo pezzo di giornale, malconcio, consunto dal tempo. Le parole si leggono a tratti, sfocate, come se anche la memoria volesse svanire, dissolversi nel nulla.

Una tragica notte

Nonostante il tempo e l’oblio abbiano fatto il loro lavoro, quelle parole riescono ancora a raccontare, a trasmettere una verità che non deve essere perduta. Non possiamo, e non vogliamo, entrare nei dettagli di una vicenda ormai segnate dal lento sgretolarsi delle testimonianze di chi era presente, chi ha vissuto quella tragica notte, dove si è consumato un duplice omicidio.

Uomini che hanno vissuto sotto il peso di un destino crudele, che hanno camminato tra la paura e la speranza, scrivendo, con il coraggio, una pagina che, seppur tragica, ha inciso profondamente nel cuore della storia.

eroi

26 Aprile 1942

Era una domenica come le altre, ma non per il cielo, che quella sera sembrava carico di presagi. La luna, crescente e gibbosa, tracciava una scia tra le nubi, mentre altrove, lontano dalle nostre piccole vite, il mondo stava per cambiare per sempre. La Seconda Guerra Mondiale infuriava e il 26 aprile del 1942 segnava un momento cruciale, l’assegnazione del titolo di “Supremo Giudice del Popolo Tedesco” a Adolf Hitler segnava una svolta definitiva, un momento in cui le ombre del potere gettavano il loro manto su milioni di innocenti. Ma, mentre il mondo intero si consumava nel terrore, una vicenda di violenza segna in modo indelebile quella stessa domenica a Miano, una periferia di Napoli.
A. Venturini, un uomo dal passato oscuro, si trovava al centro di un drammatico episodio.

Un duplice omicidio

Il 26 aprile 1942, infatti, durante un litigio violento con la sua amante, che per ragioni misteriose o non svelate alla pubblica opinione, finì al centro della contesa, stava per perdere il controllo e commettere un omicidio. La rabbia, che cresceva di minuto in minuto, sfociò in violenza pura. Due passanti, Gaetano Esposito, carabiniere in borghese, e Nappo Raimo, uno stuccatore che per caso o destino si trovavano lì, tentarono di placare la furia dell’uomo e salvare la donna. Ma, in un attimo di cieca rabbia, Venturini non esitò a estrarre la pistola automatica e a premere il grilletto.
I colpi ruppero la quiete della sera, uccidendo Gaetano Esposito e Nappo Raimo sul colpo, vittime di una furia insensata e incontrollabile. Quella tragedia, non fu che un’altra pagina oscura di violenza per le strade di Napoli, segnò la fine per due uomini.

Ieri come oggi

In quella scelta presa in pochi attimi di secondo, sono riusciti a fare ciò che sembrava impossibile, hanno protetto una vita, l’hanno sottratta al destino crudele che sembrava scritto.

Ed oggi in un’epoca in cui la violenza sulle donne continua a essere una ferita aperta, dove sempre più spesso, la parola ‘omicidio’ entra prepotentemente nella nostra quotidianità, quella serata del 1942, deve ricordarci che esistono eroi che non hanno mai ricevuto celebrazione in un libro di storia, ma che hanno fatto qualcosa di straordinario.

Dibattimento infuocato

Poche, ma significative, sono le righe che riescono a svelare i dettagli della perizia psichiatrica a cui fu sottoposto A.Venturini durante l’istruttoria. Secondo quanto si narra, pare che l’uomo avesse agito in uno stato di iracondia morbosa, una condizione che non solo metteva in discussione la sua sanità mentale, ma dava l’idea di un individuo affetto da crisi epilettiche che offuscavano la sua capacità di discernere tra il giusto e il perverso. Un esame psichiatrico che, seppur reso difficile dal tempo che ha reso le tracce più sfuggenti, cercò di fare chiarezza sul comportamento di un uomo che, in un’alterazione incontrollabile, aveva causato morte e disperazione.
Il dibattimento, infuocato e costellato di tensioni, fu teatro di uno scontro tra le diverse interpretazioni legali.

Accusa Vs difesa

Le parti civili, assistite da avvocati di prestigio, chiedevano una condanna esemplare per chi tradisce la società, consapevoli che in gioco c’è il significato della giustizia. La difesa, invece, puntava sulla totale incapacità di intendere e volere di Venturini, sostenendo il vizio totale di mente e cercando di dimostrare che il duplice omicidio non fosse un atto volontario. La loro battaglia era volta a proteggere il cliente dalla giustizia, invocando indulgenza per una mente che aveva perso la razionalità.

La condanna

Alla fine, la Corte, con una decisione che suonò come un grido di ferma giustizia, seguì le richieste del Pubblico Ministero, il quale non lasciò spazio a interpretazioni o a sospetti. La condanna per duplice omicidio, con il beneficio del vizio parziale di mente, fu emessa con la sentenza che segnava un punto di non ritorno. Antonio Venturini, sebbene riconosciuto incapace di comprendere appieno la gravità dei suoi atti, non sfuggì al peso di un sistema che non lasciava scampo alla violenza, sebbene mitigata dalla malattia.
Trent’anni di reclusione, con l’aggiunta di tre anni di internamento in manicomio, furono la punizione decretata dalla corte. Una condanna che, pur tentando di tenere conto della fragilità mentale dell’imputato, non ignorava il sangue versato, non lasciava che la memoria della sofferenza dei due innocenti passasse inosservata.

L’inaspettato

Tuttavia nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, in quel dramma, ci fosse una vittima ancora più innocente, più piccola, il cui cuore non avrebbe mai più battuto come prima.
Francesco, il figlio di Gaetano Esposito, si trovava con il padre quella sera, in un gesto quotidiano, semplice, un giro tranquillo nel buio della domenica.
Francesco, ignaro del destino che lo stava per travolgere, camminava accanto al padre, inconsapevole di come, da lì a pochi minuti, la sua vita sarebbe stata spezzata.
Non avrebbe mai compreso appieno il significato di quella tragedia, ma il dolore che lo travolse fu talmente grande che distrusse in un istante ogni speranza, ogni innocenza. La morte di suo padre e la morte di Raimo, un enorme macigno che lo colpì, annientando la sua infanzia, trasformandola in un incubo senza fine.

L’innocenza perduta

La sua mente di fanciullo fu straziata da un dolore troppo grande per essere compreso. Quella passeggiata, quel semplice momento di vita familiare, si tramutò in un ricordo tragico, che lo accompagnò negli anni a venire.
Non possiamo non pensare a quel piccolo volto, segnato dalla tragedia, che in un istante aveva dovuto affrontare più dolore di quanto un bambino dovesse mai conoscere.

Francesco visse il resto della sua vita portando con sé quel peso, quella ferita che non si rimarginò mai completamente.
Quella domenica sera del 1942, le urla del dolore e il suono dei colpi non scomparvero mai dalla sua memoria, rimanendo una cicatrice profonda nel suo cuore.

Nella foto, Francesco da adulto

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