Il conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli è una vera e propria istituzione culturale della città. Nei suoi storici corridoi hanno studiato alcuni dei maggiori rappresentanti in ambito musicale: Vincenzo Bellini, Ruggero Leoncavallo, Saverio Mercadante, Riccardo Muti e molti altri. E ancora oggi è un luogo di formazione di musicisti di assoluto livello. Scopriamo l’origine di questa istituzione, a partire dal suo stesso nome.
San Pietro a Majella: il papa che abdicò
Il toponimo del conservatorio di San Pietro a Majella deriva dall’omonima chiesa, nel cui ex convento ora sono situate le stanze dedicate alla pratica musicale. Fu l’ordine dei Celestini a dedicare l’edificio sacro a Celestino V, al secolo Pietro Angeleri di Morrone, celebre per aver rinunciato alla carica papale il 13 dicembre 1294. Nella Divina Commedia di Dante fu collocato nel girone degli ignavi, apostrofato come “colui che per viltade fece il gran rifiuto“.
Prima della sua breve esperienza al soglio pontificio Celestino V praticò eremitaggio spostandosi di continuo in diversi luoghi ameni e inaccessibili. Tra questi ci furono anche i monti della Maiella, situati negli Appennini Abruzzesi. È per questo motivo che l’ordine dei Celestini apostrofò la nascente chiesa come San Pietro a Majella. L’edificio sacro fu progettato dall’architetto Giovanni Pipino da Barletta (che è sepolto proprio al suo interno) ma ben presto l’ordine dei Celestini fu allontanato dalla Chiesa e l’edificio fu affidato ai Servi di Maria, gruppo di sette religiosi che si ritirarono a vita eremitica sul monte Senario, nei pressi di Firenze.
Uno è meglio di quattro
Il conservatorio di San Pietro a Majella, nei pressi di Port’Alba, desume il nome proprio dall’omonima chiesa. Esso fu fondato nel 1808 e riunì quattro orfanotrofi creati nel Cinquecento: Santa Maria di Loreto, Sant’Onofrio a Porta Capuana, i Poveri di Gesù Cristo e la Pietà dei Turchini. Erano istituti presenti nelle periferie della città, che divennero interessanti fucine di sperimentazione musicale e di formazione. Gli orfanotrofi erano d’altronde i luoghi in cui veniva “conservata” la musica, da cui il termine “conservatorio”.
A seguito della rivoluzione napoletana del 1799 rimase attivo solo l’orfanotrofio di Pietà dei Turchini, considerato comunque troppo piccolo per conservare la copiosa tradizione musicale napoletana. Fu dunque spostato prima nel convento delle Dame di San Sebastiano e poi nell’ex convento di San Pietro a Majella, dove tuttora è ubicato.
Il conservatorio di San Pietro a Majella può quindi vantare un’antica tradizione che interessa non solo i suoi illustri frequentatori ma lo stesso edificio. D’altronde è una caratteristica della città di Napoli. Ogni angolo, ogni palazzo, ogni strada racconta una storia. Bisogna solo scoprirla e, nel caso del conservatorio di San Pietro a Majella… ascoltarla!
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