Se non conosci Roberto Bracco, allora devi fare un salto indietro nel tempo. Precisamente nel primo giorno di maggio del 1925, quando venne pubblicato sul quotidiano Il Mondo il Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Redatto da Benedetto Croce su suggerimento di Giovanni Amendola, esso nacque in risposta fiera al suo gemello opposto, il Manifesto degli intellettuali fascisti, scritto una decina di giorni prima da Giovanni Gentile.
Tra le più di cinquanta firme in calce al Manifesto ci sono quelle di alcuni artisti e intellettuali che hanno fatto la storia del nostro Paese: da Calamandrei a Einaudi, da Giustino Fortunato a Matilde Serao, da Giuseppe Levi a Montale. Chi di noi non conosce questi nomi?
Tra gli altri, c’è anche la firma sottile e decisa di Roberto Bracco. Eppure, nessuno, o quasi, conosce la sua storia.
La vita di Roberto Bracco
Roberto Bracco, nato a Napoli nel 1861, non amò mai lo studio. Abbandonò il liceo senza troppi scrupoli per iniziare a lavorare in una ditta di spedizioni, ma la sua vivace curiosità e il suo acume bizzarro e fuori dagli schemi gli consentirono di diventare presto parte della Napoli intellettuale del suo tempo.
Grazie a delle lettere d’amore per caso capitate tra le mani di Martino Cafiero, direttore de Il Corriere del Mattino, divenne, appena diciassettenne, redattore; ancora, furono i suoi amori improvvisi e passionali ad aprirgli le porte del mondo del teatro: frequentando il Teatro Sannazaro per corteggiare un’attrice di cui s’era invaghito, trovò l’amore della sua vita nelle pieghe dei sipari e nelle ansie del palco, nelle voci tremule ed emozionanti degli attori e nell’incanto della rappresentazione. Divenne, allora, appassionato ed esauriente critico teatrale.
Vanitoso ed eccentrico, un giorno, radendosi, si tagliò per errore un baffo. Costretto in casa dal suo buffo aspetto, prese carta e penna e, su suggerimento dell’amico e direttore teatrale Ermete Novelli, scrisse una commedia, Non fare agli altri.
Il successo
Rappresentato nel dicembre 1886, l’atto unico ebbe un successo immediato tra critica e pubblico. Inizia così la carriera di uno dei drammaturghi più talentuosi e innovativi che il nostro teatro ebbe mai: ad un sostrato verista, aggiunse senza timore intuizioni psicanalitiche e suggestioni ibseniane, dando vita a un’originalità stilistica e contenutistica sorprendenti e ad un’osservazione della realtà profonda e vividissima.
Ben presto, il suo talento e il suo successo superarono i confini italiani e in tutta Europa – da Budapest a Londra, da Madrid a Parigi – e in America furono tradotti e rappresentati i suoi spettacoli.
Un astro tanto splendente del nostro teatro, vi starete chiedendo, perché mai è oggi caduto nell’oblio?
Il declino di Roberto Bracco
Torniamo da dove siamo partiti. Primo maggio, Manifesto antifascista. Quando Bracco era all’apice del suo successo, la sua fierezza incrollabile e la sua coerenza intellettuale e morale si scontrarono contro il Regime. Mai volle cedere al compromesso, mai si piegò ad ideali in cui non credeva. Nel 1926 accettò la proposta di Giovanni Amendola di entrare nel suo partito e, dopo il delitto Matteotti, a più di sessant’anni, scese in piazza a protestare fianco a fianco agli studenti.
Iniziò così il suo inarrestabile declino.
Si cominciò dal sabotare le sue opere: durante la rappresentazione di una sua commedia, I Pazzi, uno squadrone fascista irruppe in teatro e insultò e devastò tanto, che lo spettacolo dovette essere interrotto e il pubblicò fuggi via spaventato.
Si passò poi alla censura, e per paura di ritorsioni nessuno volle ospitare nel proprio teatro o rappresentare con il proprio volto le sue opere. Fu candidato numerose, numerosissime volte al Premio Nobel, ma l’ostilità di Mussolini gl’impedì la vittoria ognuna di esse. La sua casa, ai Quartieri Spagnoli, fu devastata e data al fuoco da uno squadrone fascista e lui stesso sfuggì per miracolo ad un agguato.
Una fine drammatica
Bracco, ormai anziano e dimenticato da tutti, continuò per qualche anno a tentare di rappresentare le sue commedie, di ritrovare il contatto con il pubblico e di rivivere l’emozione e l’ansia del teatro. Tutto invano.
Quando l’amica e attrice Emma Gramatica chiese a Mussolini un sussidio statale per lui, e il Duce accettò, ormai poco interessato a continuare a far guerra all’artista, avendolo già privato del suo pubblico e dunque della sua dignità intellettuale, Bracco rifiutò.
Fino all’ultimo, e nella miseria, non si piegò a quel regime che gli aveva stroncato una carriera splendente, già avviata, destinata ad emozionare il pubblico di tutto il mondo. Quello stesso regime a causa del quale oggi il ricordo di Roberto Bracco è perso nell’oblio.
Beatrice Morra
Un approfondimento interessante: era il nipote di Michele Tenore, il direttore dell’Orto Botanico!
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