Alla città di Napoli appartengono tantissimi modi di dire, proverbi e detti. Questi spesso nascono dalla storia vera, come “Gioacchino mettette ‘a legge e Gioacchino fuje acciso “, che equivale a dire “chi è causa del suo male pianga se stesso“. Ma chi è questo fantomatico Gioacchino, tanto importante da poter emanare una legge, che poi gli si ritorse contro? Vi guidiamo nella storia per conoscere le radici di questo proverbio diffusissimo in Campania.
Gioacchino Murat, il valoroso e vanitosissimo re di Napoli
“Giovane, bello, aitante, eccentricamente abbigliato con sfolgoranti, variopinte divise e piumati copricapi, Gioacchino Murat sembrava fatto apposta per colpire l’accesa fantasia del popolo napoletano: calorosi applausi quindi lo accolsero al suo arrivo, anche se in quegli evviva non mancava un fondo di ironia“. Così viene descritto il nuovo re di Napoli da Vittorio Gleijeses, nella sua Storia di Napoli, da cui riusciamo a scorgere le stravaganze di un povero reale. Povero perché Gioacchino era figlio di locandieri, ma con una fortunata carriera da generale. Combatté al fianco di Napoleone nelle sue campagne in Italia ed in Egitto, fino a diventare suo cognato, sposando la sorella Carolina.
Nel luglio del 1808 Murat divenne re di Napoli, fu amatissimo dal popolo, fece infatti tutto ciò che era in suo potere per rialzare le sorti del Regno dopo anni di mal governo. Svolse opere pubbliche, come la costruzione del ponte alla Sanità, rialzò l’economia, confiscò i beni alla manomorta ecclesiastica, legalizzò il divorzio e attuò tantissime modifiche legislative che andarono a modernizzare la società napoletana.
Gioacchino Murat amava Napoli e lo scrisse anche a Napoleone in una lettera: “Sono felice nei miei stati, io vivo sotto il più bel cielo della bella Italia”. I rapporti con Il cognato si ruppero quando Murat, pur di non perdere il regno, si alleò con i nemici Austriaci. Questa decisione gli si ritorse contro, gli Austriaci volevano il trono e i Borbone avrebbero fatto di tutto per spodestarlo. Capito il pericolo, Murat non si arrese, anzi puntò in alto, capeggiando una spedizione che mirava ad ottenere l’indipendenza Italiana.
Gioacchino mettette ‘a legge e Gioacchino fuje acciso o appis?
Seppure fosse un piano ambizioso, Gioacchino Murat non riuscì nel suo intento. Mentre era in viaggio, fu costretto, a causa di una tempesta, ad approdare a Pizzo Calabro e, appena arrivato, a terra subì un agguato dai suoi stessi soldati.
Nel settembre del 1815 fu giustiziato in Calabria e, ironia della sorte, per via di una legge che aveva lui stesso legittimato appena salito al governo. Ed è per questo che nasce il detto “Gioacchino mettette a legge e Gioacchino fuje acciso“, ma cosa prevedeva questa legge? La condanna a morte per chi avesse messo a repentaglio il potere costituito, proprio quello che fece.
Il detto viene spesso conosciuto in maniera errata, infatti nascono veri e propri dibattiti su come debba essere espresso giustamente, se in “Gioacchino mettette ‘a legge e fuje acciso o fuje appis“. In questo caso è la storia che ci aiuta, il re di Napoli fu fucilato e quindi ucciso non impiccato, e anche in questo momento drammatico egli non mancò nel mostrare la sua vanità. Prima di morire esordì “Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco!“.
Bibliografia
Vittorio Glesijeses, La storia di Napoli, dalle origini ai giorni nostri, società editrice Napoletana
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