Il 26 aprile 1983, una tragedia sconvolse Napoli e l’intera nazione. Undici giovani vite furono strappate via in un incidente stradale che rimase impresso nella memoria collettiva come la “strage del Melarancio”.

La gita che non doveva finire così
Un gruppo di 48 studenti della scuola media Edoardo Nicolardi, situata nel quartiere Arenella di Napoli, era in viaggio verso il Lago di Garda per una gita scolastica. Il pullman, con a bordo anche tre insegnanti, percorreva l’autostrada A1 in direzione nord. Quando giunse nei pressi di Firenze, entrò nella galleria del Melarancio, un tratto a corsia unica a causa di lavori in corso. In quel momento, un autoarticolato che trasportava un gigantesco tubo d’acciaio sporgeva pericolosamente dalla sua carreggiata. L’impatto fu devastante: il tubo squarciò la fiancata del pullman, uccidendo sul colpo undici ragazzi tra i 11 e i 13 anni.
Le vittime della strage del Melarancio
Le giovani vittime furono: Annalisa Di Girolamo, Eva De Cicco, Francesca Ielpo, Stefania Bianchi, Alfredo Lombardo, Alessandro Sturatti, Eduardo Aurino, Gianpaolo Cajati, Maurizio Autunno, Riccardo Pironti e Ruggiero Giancristofaro.
I loro nomi sono scolpiti nella memoria di Napoli e sono ricordati come gli “Undici fiori del Melarancio”.
Il dolore di una città
Il dolore fu immenso. I funerali si svolsero allo stadio Collana, nel cuore del Vomero, alla presenza di migliaia di cittadini e dell’allora sindaco Maurizio Valenzi, che proclamò due giorni di lutto cittadino. Le undici bare bianche, disposte in fila, rappresentavano il sogno infranto di una generazione. Il corteo funebre attraversò le strade di Napoli, accompagnato dal silenzio rispettoso di una città attonita.
La strage del Melarancio: la memoria che non muore
Oggi, a oltre 40 anni di distanza, la memoria di quei ragazzi è ancora viva. Ogni anno, il 26 aprile, una messa viene celebrata nella Chiesa della Rotonda, intitolata proprio agli “Undici fiori del Melarancio”. Inoltre, nel giardino della parrocchia, vengono benedetti undici alberi di ulivo in loro onore.
La tragedia ha anche portato a un processo che ha visto condannati per omicidio colposo e disastro colposo l’autista del pullman, il conducente dell’autoarticolato e il responsabile della Polizia Stradale che faceva da scorta al mezzo pesante.
Conclusione
La “strage del Melarancio” rimane una ferita aperta nel cuore di Napoli. Ma è anche un monito: la vita è fragile e va rispettata. Ogni anno, il 26 aprile, la città si ferma per ricordare quei ragazzi e per assicurarsi che la loro memoria non venga mai dimenticata.
Lascia un commento