Salerno – È una domenica sera come tante quando, poco dopo le 21:00 del 16 marzo 1980, il silenzio di Via Velia viene spezzato da tre colpi di arma da fuoco. A terra, esanime, crolla il corpo di Nicola Giacumbi, 41 anni, procuratore della Repubblica di Salerno. L’agguato è fulmineo, letale, e non lascia scampo, il magistrato muore tra le braccia della madre, pochi minuti dopo essere rientrato a casa.

L’agguato a Nicola Giacumbi
Nel tardo pomeriggio di una tranquilla domenica salernitana, il silenzio di via Velia fu squarciato da una raffica di colpi. Nicola Giacumbi, 51 anni, magistrato stimato e da poco facente funzioni di Procuratore della Repubblica di Salerno, veniva brutalmente assassinato sotto casa. Ad attenderlo, armati e pronti a colpire, alcuni membri di una cellula locale delle Brigate Rosse.
Il delitto si è consumato in pochi istanti, sotto gli occhi attoniti della moglie Lilli, che lo accompagnava. Un proiettile ha sfiorato anche lei, mancandola per pochi centimetri, ma lasciandola illesa e sotto shock. Il magistrato, colpito alle spalle, non ha avuto scampo.
Il coraggio di Giacumbi
Giacumbi aveva scelto di rinunciare alla scorta, per senso del dovere e per non esporre altre vite innocenti al pericolo. Una scelta dettata anche dai tragici eventi del sequestro Moro, che lo avevano profondamente colpito.
Poche ore dopo l’omicidio, una telefonata a una televisione locale ha spezzato ogni dubbio, erano le Brigate Rosse a rivendicare l’attentato. Il delitto si inserisce in una strategia di attacchi mirati contro lo Stato e i suoi uomini simbolo. Quella stessa settimana, l’Italia sarebbe stata ancora colpita dal terrore. Il 18 marzo, a Roma, veniva ucciso Girolamo Minervini, il giorno successivo, a Milano, toccava a Guido Galli, assassinato da militanti di Prima Linea.
Una vittima dello Stato
Nicola Giacumbi era noto per la sua integrità e per l’impegno nella lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo. Pochi mesi prima della sua morte, aveva contribuito ad aprire un’inchiesta su alcune infiltrazioni estremiste in ambienti universitari e stava lavorando su casi delicati legati alla camorra. La sua uccisione venne interpretata come un chiaro messaggio intimidatorio, colpire lo Stato nei suoi servitori più esposti.
Le indagini e la pista brigatista
La procura di Salerno, con l’ausilio di carabinieri e polizia, aprì immediatamente un’indagine serrata. La matrice brigatista fu confermata anche da ulteriori rivendicazioni arrivate nei giorni successivi. L’attentato si inseriva nel contesto della cosiddetta “offensiva contro lo Stato”, una campagna armata condotta dalle Brigate Rosse nel tentativo di destabilizzare le istituzioni repubblicane colpendo giudici, magistrati, giornalisti e forze dell’ordine.
L’omicidio di Giacumbi fu il primo del genere messo a segno in Campania da parte della galassia terroristica. Gli inquirenti collegarono l’attacco a una cellula brigatista operativa tra Napoli e Salerno, la stessa che qualche anno dopo verrà smantellata con numerosi arresti.
La reazione dello Stato
Lo Stato reagì con fermezza. Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini espresse profondo cordoglio per la morte del magistrato, definendola “un crimine vile e barbaro che non resterà impunito”. A Salerno, centinaia di persone parteciparono ai funerali, celebrati con onori civili. Il corteo funebre attraversò in silenzio le vie del centro, accompagnato da striscioni e applausi in segno di rispetto e dolore.
La memoria di Nicola Giacumbi
A distanza di anni, Nicola Giacumbi è ricordato come uno dei primi magistrati vittime del terrorismo rosso. A lui è stato intitolato il tribunale di Salerno e ogni anno viene commemorato in occasione della Giornata della Memoria per le Vittime del Terrorismo. Il suo sacrificio rappresenta ancora oggi un monito, la democrazia si difende anche con il coraggio di chi, come lui, ha scelto di servire la giustizia fino all’ultimo giorno.
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