Quello del calonze è un mestiere antico, pressoché estinto nel resto del mondo ma di cui possiamo incontrare ancora qualche esemplare nel territorio partenopeo.

‘O calonze è il palo, la comparsa complice delle truffe, colui che rende plausibile il misfatto agli occhi del malcapitato di turno. Non è proprio una persona raccomandabile quindi, simbolo di quella furbizia napoletana che ha arrecato tanti danni all’immagine di Napoli nel mondo.

Mestiere per fortuna sempre meno diffuso, frutto dell’arte dell’arrangiarsi, in questo caso anche ai danni del prossimo; in grado di suscitare contemporaneamente, anche nei truffati, ammirazione e biasimo insieme.

Vediamo insieme alcuni esempi di situazioni in cui ‘o calonze è solito svolgere le sue attività.

‘O calonze e il treccartista, coppia fissa nelle truffe napoletane

Tra le truffe più diffuse, di solito fatte ai danni dei turisti appena sbarcati al porto o alla stazione, c’è quella delle tre carte. Nel gioco delle tre carte, queste, vengono messe di dorso sul tavolo ed il giocatore, di solito, deve individuare dove si trova la figura, o la carta di colore differente dalle altra: se indovina raddoppia la posta diversamente perde tutto.

Inutile dire che è praticamente impossibile vincere, poiché laddove il calcolo delle probabilità (33,3% di vincita, contro il 66,6% di perdita) dovesse venir meno, il banditore del banchetto, o treccartista, interviene con una serie di mosse, tra cui il cosiddetto risvolto messicano, che porteranno alla sconfitta dello scommettitore.

In più all’operato tecnico del treccartista si aggiunge la figura del calonze, del compare di gioco, che attira l’attenzione del malcapitato sulle carte sbagliate, facendo ammuina. Quando si vedeva un folto capannello attorno al tavolinetto delle tre carte al massimo vi erano uno o due veri giocatori, polli da spennare, il resto sono tutti compari.

Non c’è da sottovalutare l’aspetto psicologico del mestiere del calonze. Vi è infatti un vero e proprio studio del “fesso” di turno, per capire se basta farlo perdere una sola volta o è più portato a giocare più volte se spinto da piccole ed irrisorie vincite precedenti.

Come riconoscere ‘o calonze?

Come abbiamo visto, ‘o calonze era colui che fingendo di essere interessato all’affare o alla scommessa, attirando l’attenzione dei cafoni, o dei forestieri, che ignari si fanno coinvolgere.

È  per questo motivo che spesso ‘o calonze si abbigliava in modo paradossale, indossando un cappello da marinaio o portando con sé una valigia, per sembrare un semplice sprovveduto appena arrivato in città. In questo modo egli attirava l’attenzione di chi veniva da fuori, i turisti, confortati dal fatto che non fossero gli unici interessati alla scommessa, ma sicuramente più facili da “fregare”.

Altra caratteristica tipica del calonze è quella di essere capace di scomparire dal luogo in cui sta operando in tempo estremamente breve. Quando da lontano si avvistavano vigili o polizia il banchetto e il truffatore chiudeva velocemente battenti e erano capaci praticamente di volatilizzarsi, lasciando il malcapitato solo, doppiamente confuso e inconsapevole di quello che stava succedendo intorno a lui.

Il più celebre Calonze napoletano: Nino Taranto

Il riferimento è al film Totò truffa ’62, pellicola del 1961 diretta da Camillo Mastrocinque. Nel film Antonio Peluffo (Totò) e Camillo (Nino Taranto) sono due truffatori, che si guadagnano da vivere ai danni del prossimo, con piccoli e continui raggiri.

Celebre è la scena della trattativa per l’acquisto della Fontana di Trevi, ai danni dell’ingenuo Signor Deciocavallo (che diventa nella genialità con cui Totò è solito giocare con le parole caciocavallo, scamorza, provolone ed infine gorgonzola), in cui si introduce il calonze Nino Taranto, che, fingendosi interessato all’affare, fa salire spropositatamente il prezzo a cui il finto affare si conclude.

Consiglio la visione del film, o almeno della scena di cui ho raccontato (https://www.youtube.com/watch?v=rHEIkBaGh_Y) per comprendere bene il mestiere del calonze e la sua truffaldina genialità.

Claudia Colella

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