Altavilla fu un protagonista dell’ambito teatrale napoletano.Siamo negli anni ‘40 dell’Ottocento e il teatro napoletano dialettale si accende grazie all’inaugurazione della commedia d’attualità. Sulla scena non troviamo più maschere prototipate e lontane dalla realtà. I temi, personaggi e suggestioni vengono pescati direttamente dalla quotidianità, ricca di spunti parodiabili. In quegli anni sono le mode francesi a calcare i palchi dei teatri minori napoletani.
La commedia d’attualità di Pasquale Altavilla, «commediografo e comico grazioso».
Con queste, e con altre felici parole, Vittorio Viviani nella “Storia del teatro napoletano” ricorda Pasquale Altavilla, che può considerarsi tra i migliori a fare della “piazza” il suo principale spunto comico. Quello di Altavilla è sicuramente teatro di attualità ma soprattutto d’occasione. Il commediografo si serve letteralmente di ogni situazione nuova che può verificarsi. Egli gioca sulle reazioni che il popolo ha verso ogni nuova moda, in particolare se di importazione francese. Ogni nuova occasione diventa un pretesto perfetto per accendere le luci sul palco dei teatri minori napoletani, in particolare il San Carlino.
Nella sua opera “La folla pe lu ppane francese”, ambientata a Napoli nel 1839, Altavilla mette in scena la curiosità del popolo per l’apertura della prima boulangerie française, ossia una panetteria . A fare gola sono senza dubbio le novità gastronomiche che si possono apprezzare dalle vetrine. La commedia procede per opposizioni: da una parte ci sono Madamigella Schevart, panettiera francese, e suo marito Monsieur Bistet, e dall’altra c’è Ciccio Scamazza, panettiere napoletano.
Le “briosc” francesi
Il testo dell’opera ci offre ancora una volta prova di assoluta verosimiglianza. L’autore infatti, nel presentare gli attori, chiarisce subito le scelte linguistiche. Leggiamo:
Per meglio servire ai giuochi di parole che nel corso delle mie commedie avran luogo tra Personaggi buffi, de’ quali qualcuno parli lingua o dialetto straniero, fo avvertiti i lettori: che le parole ne’ dialoghi de’ suddetti personaggi verranno notati come si pronunziano non come si scrivono.
E tra le parole, scritte così come le avreste ascoltate tra le strade napoletane, ci colpisce una, la cui storia è ancora oggi oggetto di curiosità: briosc (la forma corretta sarebbe brioche). Quanto sia ricco il vocabolario napoletano di lessico francese è storia nota. Tralasciando la storia della parola, e la confusione, assolutamente indesiderata dai napoletani, con il cornetto, l’occorrenza di brioche in quest’opera è importante. Altavilla registra immediatamente, il successo di una parola e di un nuovo prodotto e anche l’impaccio di un popolo ad accoglierne la novità. Quindi dietro un’apparente semplice scambio di battute come questo:
ALE(SSIO): In fatti, ieri mattina ricevendo il pane dalle mani di quella gentilissima creatura, mi scoppiò tale appetito che m’arrivaje a mangià 36 birocci.
GIA(NNATTASIO): E quaranta capriolè.
CON(TINO): Briosc-briosc
c’è la rappresentazione dell’entusiasmo goffo di un popolo e soprattutto la capacità di Altavilla di testimoniare, pur attraverso una parodia, la contemporaneità. Questa commedia d’attualità, ed il teatro dialettale in genere di quegli anni, garantiscono il coinvolgimento popolare. La materia rappresentata e messa in scena è attinta direttamente dai caldi fatti di cronaca.
Fonti:
ANNAMARIA SAPIENZA, La parodia dell’opera lirica a Napoli nell’Ottocento, Napoli, Guida, 1998.
NICOLA DE BLASI, Esempi di lessico ottocentesco: buatta, brioche, làppese a quadriglié in Parole e cose. Il lessico della cultura materiale in Campania a cura di CATERINA STROMBOLI
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