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Dire che qualcuno è “maramaldo” significa lanciare un insulto pesante: indica un vigliacco, un traditore, una persona che se la prende con i deboli. Oggi non si usa quasi più, ma fino a cinquant’anni fa la storia di Maramaldo era studiata nelle scuole come esempio massimo di infamia.

La parola italiana ha origini napoletane abbastanza infami: si riferisce a Fabrizio Maramaldo, un condottiero che, nel 1530, uccise il fiorentino Francesco Ferrucci durante la battaglia di Gavinana, che fu la pietra tombale della lunghissima storia della Repubblica di Firenze, che passò in mano alla famiglia dei Medici per i secoli seguenti.

La morte di Ferrucci fu così clamorosa ed eclatante per l’epoca che se ne parlò per secoli, con letteratura a favore e contraria. E il napoletano Maramaldo diventò uno dei più famosi antieroi dell’età moderna.

Maramaldo: un militare eccellente o un pirata?

Del capitano napoletano si sa pochissimo, addirittura gli storici non sono nemmeno certi della sua città d’origine, ma la maggior parte ritiene sia Napoli, come riferisce il dizionario biografico Treccani.

Secondo alcune cronache del tempo, da giovane uccise la moglie e fuggì da Napoli ad appena vent’anni. Probabilmente si trattò di un delitto d’onore, ma c’è anche chi pensa che questa sia l’ennesima cattiveria detta sul suo conto. L’unica certezza è che era di famiglia nobile e che ebbe un’educazione eccellente e raffinata nelle arti e nelle abilità militari. E fu proprio con le armi che il giovane Fabrizio costruì una carriera invidiabile in tutta Italia.

Maramaldo era infatti un capitano di ventura, un uomo pagato per comandare eserciti di mercenari. Combatté per numerosi signori d’Italia, dagli Este di Mantova ai Veneti, riportando eccellenti risultati alternati a sonore sconfitte, come nel caso della battaglia di Asti in Piemonte.

Era severissimo nella disciplina, rissoso di carattere, ma anche delicatissimo nel parlare. Di lui si diceva fosse un gentiluomo ed era sempre ben accolto nelle corti di tutta Italia.

La svolta della sua carriera militare arrivò durante il famoso Sacco di Roma del 1527, quando ottenne la fiducia e la stima di Carlo V d’Asburgo, probabilmente l’uomo più potente del mondo in quel momento storico: le truppe del Sacro Romano Impero, aiutate da numerosi eserciti mercenari (fra cui i famosi lanzichenecchi, che portarono in quell’occasione il gioco della zecchinetta in Italia), misero a ferro e fuoco Roma, saccheggiandola. Proprio in quest’occasione Maramaldo ricevette diverse lettere da Venezia e Mantova, in cui gli furono commissionati furti di opere d’arte in città.

Maramaldo e Ferrucci

L’omicidio di Ferrucci

Pochi anni dopo le vicende romane, il 3 agosto 1530, Fabrizio Maramaldo trovò il suo appuntamento con la Storia. La battaglia di Gavinana, un paese nelle immediate vicinanze di Firenze, vide schierati da un lato la famiglia dei Medici, desiderosi di prendere il controllo assoluto della città, e dall’altro le antiche istituzioni della Repubblica di Firenze, in piedi da 400 anni.

I repubblicani erano guidati da Francesco Ferrucci, un generale carismatico che fu capace di infliggere pesanti sconfitte ai suoi nemici, nonostante forze completamente squilibrate a favore degli invasori. A capo delle forze medicee c’era invece proprio Fabrizio Maramaldo, che poteva contare del supporto di Carlo V d’Asburgo, che portò in Italia le forze spagnole e tedesche per mettere le sue mani anche sulla Toscana. Erano 3000 fanti contro quasi 10.000 soldati e cavalieri.

Poco prima dell’inizio della battaglia, Maramaldo mandò un giovane trombettiere da Ferrucci per proporgli la resa: l’ambasciatore spiegò al nemico che, se i repubblicani avessero lasciato le proprie postazioni, nessuno sarebbe morto quel giorno. Ferrucci, di tutta risposta, fece impiccare il ragazzo, sdegnato per aver ricevuto un messo così modesto.

La battaglia durò 4 ore e fu un bagno di sangue. Il caldo di agosto si faceva sentire sotto le armature e i repubblicani, stremati mentre respingevano continuamente nuove ondate di nemici, non poterono nulla contro l’arrivo improvviso di un intero contingente di lanzichenecchi. Erano freschi e ferocissimi: fecero una strage.

I repubblicani però non mollarono nemmeno davanti alla morte certa: gli ultimi superstiti continuarono a combattere anche a mani nude. Ferrucci stesso fu ferito e, incurante dei dolori, del caldo e della fatica, continuava a incitare i suoi.

Francesco Ferrucci
Ritratto di Ferrucci

Vile, tu uccidi un uomo morto!

Il capitano repubblicano sconfitto, fu fatto prigioniero e disarmato, poi fu condotto davanti a Fabrizio Maramaldo.

I due si guardarono negli occhi e Fabrizio, ridotto in fin di vita a uno straccio d’uomo, urlò al suo nemico: “Vile, tu uccidi un uomo morto!” (anche se alcuni storici credono che sia semplicemente rimasto in silenzio).

Maramaldo, furioso, decise di infilzarlo con una lancia, contro ogni regola di cavalleria che impone di non infierire sui nemici disarmati o imprigionati. Poi incitò i suoi militari a straziare il corpo del nemico, con la stessa furia che dimostrò Belisario contro i napoletani 1000 anni prima di questa storia.

Nel frattempo, poco più lontano, si consumò anche un’altra vendetta che non diventò famoso come la morte di Ferrucci: l’altro comandante dei repubblicani, Amico d’Arsoli, fu ridotto in schiavitù e comprato dal suo acerrimo nemico, Marzio Colonna. Poi fu torturato fino alla morte per vendicare l’uccisione del cugino di Colonna.

Altri cronisti dell’epoca ritengono che quest’episodio sia invece stato inventato di sana pianta dalla letteratura partigiana del tempo e che Ferrucci sia semplicemente morto in battaglia.

Che sia vera o meno, l’uccisione di Ferrucci tramandata dalla letteratura mainstream fu una risposta rabbiosa ad un’altra violenza e diventò tanto famosa da essere indicata ancora oggi come l’esempio massimo di vigliaccheria.
Fu così rovinata l’immagine di Maramaldo, che era invece uno dei migliori condottieri del Regno di Napoli, paradossalmente famoso fino a poco tempo prima per essere un galantuomo.

Garibaldi Ferrucci
Giuseppe Garibaldi, dopo l’Unità, andò ad inchinarsi davanti alla tomba di Ferrucci

L’eredità di Maramaldo

La vicenda di Maramaldo fu uno dei tanti episodi che entrò nel linguaggio comune, un po’ come nel caso del verbo “starracciare” napoletano, che si riferisce ad un evento meno famoso: il massacro di Storace che avvenne pochi anni dopo.

Oggi questa storia sopravvive a “Via Marramarra”, nome nato proprio dalla storpiatura del cognome di Fabrizio. La famiglia d’origine del condottiero viveva proprio da quelle parti, ma probabilmente pochi amano ricordarlo.

Noi abbiamo reso giustizia a questa storia con una targa, raccontata nell’ambito del progetto “Storie di Napoli nel Borgo Orefici”.

-Federico Quagliuolo

Dedichiamo questa storia a Valeria De Marco per la sua generosità nel supportare gli studi di Storie di Napoli. Sostienici anche tu con una donazione!

Targa Maramaldo via Marramarra
Inaugurazione della targa dedicata a Fabrizio Maramaldo a Via Marramarra 17

Riferimenti:
A. LIUZZO, Fabrizio Maramaldo. Nuovi documenti, Ancona 1883
https://www.treccani.it/enciclopedia/fabrizio-maramaldo_(Dizionario-Biografico)/

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