L’Inchiesta Saredo del 1902 è un documento dalle dimensioni colossali che analizza per la prima volta i fenomeni di corruzione e di infiltrazione criminale all’interno delle Pubbliche Amministrazioni.
Fu realizzata da un magistrato ligure, Giuseppe Saredo, che in due anni fece un’opera mastodontica: rivedere, uno ad uno, i conti e le relazioni fra il Comune di Napoli e la città, gestita di fatto da alcuni esponenti di organi di stampa, chiesa, politica, criminalità e imprenditoria che avevano creato un blocco di potere che controllò per 20 anni qualsiasi movimento a Napoli.
Basterà pensare che il Comune nel 1899 era considerato “il massimo esempio di inefficienza Statale“: contava più di 4000 dipendenti solo dentro Palazzo San Giacomo e il capoluogo campano, a 40 anni dall’Unità, diventò la città con le tasse più alte d’Italia unite a un bilancio indebitato oltre l’inverosimile.
Un fatto che imbarazzava il Re e Roma considerando che che, vent’anni prima, Napoli era stata dichiarata “Risanata” fisicamente sventrandola da capo a piedi.
Un’inchiesta per smantellare Napoli fatta da un uomo che amava Napoli
L’8 novembre 1900 fu firmato dal presidente del Consiglio Giuseppe Saracco il decreto della commissione d’inchiesta sulla “Camorra Amministrativa”, incaricando l’espertissimo magistrato Giuseppe Saredo che, all’epoca della nomina, aveva quasi settant’anni.
Conosceva già Napoli, in quanto gestì la città in due dei 10 commissariamenti del Comune negli ultimi 20 anni del XIX secolo.
Era un uomo di grande modestia e intelligenza: per capire la città studiò la sua storia. E fu lui che volle riabilitare, per la prima volta dopo l’Unità, il nome dei Borbone in città: fu infatti lui a intitolare a Carlo di Borbone l’attuale Piazza Carlo III. Così come fu sempre lui a promuovere i lavori di rifacimento della ferrovia di Piazza Garibaldi.
Era un uomo distinto, dalla parola elegante e dalla presenza austera. Aveva una infinita preparazione giuridica, oltre ad una visione dei suoi tempi avanzatissima. Basta pensare che una delle sue battaglie personali fu quella per il voto universale e obbligatorio e la municipalizzazione dei pubblici servizi. Idee che furono attuate solo cinquant’anni dopo, con la Repubblica.
La commissione d’inchiesta nacque sotto timide aspettative e con la prospettiva di ricavare poche informazioni sulla mala amministrazione di Napoli, ma fu prestissimo smentita dai risultati raggiunti in soli dieci mesi di indagini coraggiose, fittissime e ininterrotte. Fu individuata una “triade” che gestiva i fili di un gigantesco sistema di potere in città che si spartiva cariche, soldi e onori: il parlamentare Casale, il sindaco Summonte e il giornalista Scarfoglio.
L’inchiesta Saredo: 3808 pagine di dolori
Il primo dei due libri, due immensi tomi da 1904 pagine l’uno, comincia con un vero e proprio inno alla bellezza dell’animo dei napoletani, che vede trionfare il “sentimento del bello” che deriva “dalla ritenuta origine greca della popolazione o, com’è più probabile, impressale dai caratteri fisici del territorio”, che porta i napoletani a primeggiare nell’arte e d’intelletto e che, di contro, porta con sé individualismo e incapacità di cooperare, attributi negativi che non fanno crescere Napoli.
L’Inchiesta Saredo si apre con un primo capitolo in cui analizza a fondo le abitudini, la cultura e la storia di Napoli, provando a spiegare come la città sia passata da capitale di un regno a provincia problematica.
Spiegò che un ruolo determinante l’aveva svolto la Camorra, che si trovò a flirtare con il potere locale per ottenere vantaggi reciproci. Ed “il male più grave, a nostro avviso, fu quello di aver fatto ingigantire la Camorra, lasciandola infiltrare in tutti gli strati della vita pubblica e per tutta la compagine sociale, invece di distruggerla, come dovevano consigliare le libere istituzioni, o per lo meno di tenerla circoscritta, là donde proveniva, cioè negli infimi gradini sociali”.
Attacco ai giornalisti e l’odio di Scarfoglio
Scarfoglio era individuato nell’Inchiesta Saredo come uno dei maggiori responsabili della cancrena politica napoletana, a causa del suo quasi completo controllo della stampa locale, che osannava i personaggi vicini alla triade di potere e massacrava gli avversari, dirottando l’opinione pubblica.
La risposta del giornalista non si fece attendere: si potrebbe dire che fu lui l’iniziatore di tutta la letteratura napoletana contro “quelli del nord” che, arroganti e coalizzati fra loro, vogliono far piazza pulita delle classi dirigenti meridionali.
Non si vive nel giornalismo che corrotti o scettici
Giuseppe Saredo sul giornalismo napoletano
Nel 1901 sul Mattino erano pubblicati quasi a cadenza quotidiana gli articoli contro Giuseppe Saredo e la sua squadra, accusati di essere “giunti dal nord” con l’unico intento di “far vergognare la Napoli onesta davanti all’Italia intera“.
Fu un’opera denigratoria incessante da parte di tutta la stampa napoletana, che cercava di dimostrare come il governo si fosse accanito contro Napoli.
Dall’Inchiesta non uscì pulita nemmeno Matilde Serao, coinvolta in un giro di raccomandazioni presso il Comune di Napoli: all’epoca i messaggeri della camorra erano i facchini e i vetturini e sono riportate nei libri due lettere di raccomandazione firmate da donna Matilde.
Anche Ferdinando Russo contribuì all’attacco su tutti i fronti contro il magistrato savonese:
(L’Inchiesta, Il Mattino del 21 ottobre 1901)
“Comme? Simmo fetiente tuttuquante?
E Comme? È galantomo sultant’isso?
Nce piglia ‘a latre e nce lassa ‘a bbrigante
E ll’ha ggiurato comm’a ffio isso!
Va llà, vattenne, famme ‘o piacere!
Ccà nce avite luvato ‘a pella ‘a cuollo
Cu tutto ‘o sentimento e pare ajere!
E mo’ pe ghionta ‘e ruotolo, l’inchiesta, pe fa cadè quaccuno dint’ ‘o mmuollo, dice ca nce sta ‘o pilo int’ ‘a menesta!”
Saredo stesso, poi, scrisse parole di fuoco, accusando Il Mattino, Il Corriere di Napoli, il Paese ed il Don Marzio di essere “gli organi ufficiali di Celestino Summonte”, che era il sindaco di Napoli accusato di aver legato ogni posizione di responsabilità a raccomandazioni, amicizie e clientelismi vari. Tutto supportato dalla Camorra bassa, che si arricchiva e gestiva gli equilibri.
Ma soprattutto nell’Inchiesta Saredo fu attaccato il Mattino “i direttori del quale – coppia Scarfoglio-Serao – hanno adulterata la missione del giornalismo, intorbidando la corrente della pubblica opinione e rendendosi complici o autori principali delle medesime colpe nelle quali incorsero i cessati amministratori”.
Oltre alla triade del potere Casale-Summonte-Scarfoglio, non minore responsabilità fu attribuita all’onorevole Pietro Rosano. Fu proprio lui a sobillare la popolazione contro Saredo, tanto da costringere il prefetto ad individuare una scorta per il magistrato e far circondare da guardie di pubblica sicurezza il Palazzo Ciccarelli, dove aveva sede la commissione.
Un mare di illegalità
La documentazione fu assai difficile da reperire, in quanto a Napoli mancava un archivio generale degli uffici municipali. Allo stesso modo Saredo sottolineò l’incredibile sparizione dal suo ufficio di decine di documenti raccolti durante l’anno di lavoro.
Altra irregolarità che notò Saredo fu quella delle anticipazioni nei contratti: era infatti prassi frequente da parte delle ditte appaltatrici di lavori di pubblica utilità il farsi pagare in anticipo lavori che non sarebbero mai stati realizzati.
Anche la Società per il Risanamento di Napoli, ad agosto 1897, chiese ben 2.500.000 lire come anticipazione, con il parere favorevole dell’Avvocatura municipale, in contrasto palese con le leggi di contabilità dello Stato. Ed ancora, fu sottolineata da Saredo la distruzione di centinaia di documenti storici delle passate amministrazioni borboniche, fra cui anche gli atti relativi alla Guardia Nazionale, solo al fine di giustificare l’erogazione di un finanziamento di 7000 lire nei confronti di una “Associazione degli impiegati comunali” con a capo l’onorevole Alberto Casale.
In quasi 4000 pagine scorrono con una crudezza feroce le pratiche nel Comune di Napoli: assunzioni su raccomandazione; aumenti di stipendio dei funzionari arbitrari ed ingiustificati; consulenze e nomine illegali; individui assunti su indicazione di camorristi; persone che coprivano contemporaneamente due o tre posti con più stipendi; strade private costruite con fondi pubblici; pagamento di lavori mai realizzati; istruzione nelle scuole elementari ai minimi nazionali e nessun controllo sull’operato dei docenti.
Legami con Roma mai approfonditi
L’inchiesta Saredo proseguì senza ostacoli finché, nel 1901, Giovanni Giolitti fu nominato ministro degli interni.
Denunciò Gaetano Salvemini che l’Inchiesta Saredo stava aggredendo il bacino elettorale di Giolitti e, per questa ragione, si diffuse la voce che il ministro stesse creando ostacoli.
In effetti, proprio in quei tempi la commissione stava cominciando ad esplorare la pista che collegava la “camorra amministrativa” napoletana a Montecitorio e le indagini, come raccontato dallo stesso Saredo, proseguivano lentissime.
Giolitti rispose alle accuse con un breve telegramma inviato al prefetto di Napoli: “Ella può essere certa che Ministero colpirà inesorabilmente quelli che dalla inchiesta risulteranno colpevoli, senza occuparsi punto di contestazioni politiche”.
I legami fra Giolitti e la camorra amministrativa di Napoli non furono mai dimostrati.
Una tragica morte e una drammatica eredità
Alla fine dell’inchiesta Saredo era esasperato dai continui attacchi personali e dalle fortissime pressioni politiche che venivano dai soggetti più attaccati, quali proprio Scarfoglio, Summonte, Casale, l’avvocato Rosano (prima guardasigilli sotto Saracco, poi ministro dell’Interno sotto Giolitti), Emanuele Gianturco (poi ministro della Giustizia) e numerosi personaggi minori.
A chiudere definitivamente la pagina delle inchieste fu la morte improvvisa del commissario nel 1902, che fu festeggiata con entusiasmo da Scarfoglio. Proprio in quell’occasione Gaetano Salvemini lo apostrofò come “il prototipo del giornalista della Camorra”.
In un editoriale sul Mattino, Scarfoglio scrisse che Saredo era morto per cancro al fegato, quasi “come se fosse stato ripagato del male che aveva inflitto alla città di Napoli”.
L’inchiesta Saredo, rimasta quindi incompleta, finì con un processo che vide condannati pochi personaggi secondari.
Saredo ripeteva continuamente che il vero risanamento di Napoli si sarebbe dovuto compiere attraverso la totale riforma delle amministrazioni, con la creazione di una nuova classe dirigente “pulita” e lontana dalle secolari logiche clientelari ed egoistiche delle vecchie generazioni. A distanza di più di un secolo, l’immagine drammatica di Napoli tracciata dal commissario sembra rimasta, purtroppo, un malcostume non campano, ma più genericamente italiano.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti e spunti di lettura:
Giuseppe Saredo, Relazione sull’Inchiesta della Camorra Amministrativa, Vol. I e II, La Scuola di Pitagora, Napoli, 1998
Giovanni Giolitti. Quarant’anni di politica italiana, Feltrinelli, Milano, 1962
Sergio Marotta, Corruzione politica e società napoletana. L’inchiesta Saredo, Scuola di Pitagora, 2012
Francesco Barbagallo, Storia della Camorra
Isaia Sales, La Camorra, Le Camorre
Gigi Di Fiore, La camorra e le sue storie
Vittorio Paliotti, La Camorra
Marc Monnier, La Camorra
Ernesto Serao, Le origini della Camorra, Bideri, 1911