ercole farnese

Se c’è una scultura classica capace di suscitare forza e pacatezza, possenza e stasi allo stesso tempo, quella è l’Ercole Farnese. Conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, questo marmo è senza dubbio uno dei pezzi più pregiati della collezione museale e il soggetto attinge a uno dei miti più noti della classicità.

Che fatica, Ercole!

Ercole (per i greci Eracle) era un semidio, figlio di Zeus, dotato di forza sovrumana. Per espiare le tremendi colpe commesse (uccise in preda all’ira la moglie e i figli!) fu invitato dall’Oracolo di Delfi a mettersi al servizio di Euristeo, suo rivale al trono di Micene e Tirinto. Il re gli somministrò dodici complicate sfide, superate le quali Ercole avrebbe ottenuto non solo il perdono divino per le sue terribili azioni, ma anche il dono dell’immortalità.

Gran parte delle dodici fatiche di Ercole hanno a che fare con bestie dalla proverbiale forza e aggressività (il leone di Nemea, l’Idra di Lerna o il cinghiale di Erimanto). Altre invece testimoniano la grande astuzia del semidio, seconda solo alla sua leggendaria forza. E l’Ercole Farnese rappresenta proprio uno di questi episodi.

ercole farnese pollaiolo
Antonio del Pollaiolo, Ercole e l’Idra, tempera, 1475 ca., Galleria degli Uffizi.

Il giardino delle Esperidi e l’inganno del Titano

Euristeo sfidò Ercole nel prendere tre pomi d’oro del leggendario melo che cresceva rigoglioso nel Giardino delle Esperidi. Si trattava di un luogo ameno, inaccessibile, di proprietà di Era, moglie di Zeus, e protetto dalle tre ninfe Esperidi. Il fatto che l’Ercole Farnese regga con la mano destra, dietro la schiena, il bottino dorato lascia chiaramente intendere il successo della missione. Ma il “come” è tutto un programma!

L’unico a conoscere l’esatta ubicazione del Giardino delle Esperidi era Atlante, il Titano che reggeva sulle spalle l’intero mondo. Ercole si offrì di reggergli momentaneamente il peso dell’enorme sfera, così da permettere al Titano di entrare nel giardino e rubare i pomi d’oro. Al suo ritorno, Atlante si rifiutò di riprendere il globo, libero ormai da un fardello che lo opprimeva da milioni di anni. Ma Ercole, con una mossa di furbizia, riuscì a uscire dalla situazione di stallo e ad appropriarsi dei tre pomi d’oro.

E l’Ercole Farnese del MANN di Napoli rappresenta esattamente il momento successivo all’incontro con Atlante. L’eroe, stanco per aver retto momentaneamente l’enorme sfera della terra, si concede un momento di riposo reggendo nella mano destra uno dei pomi, attorniato da numerosi elementi che lo contraddistinguono: la pelle del leone e la clava.

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La storia travagliata dell’Ercole Farnese

La colossale statua dell’Ercole Farnese è una copia del terzo secolo d.C. dell’ateniese Glicone, ispirata al colosso in bronzo di Lisippo. Fu ritrovata a metà del Cinquecento nelle terme di Caracalla (come il Toro Farnese!) ed esposta fino al 1787 nel cortile di Palazzo Farnese a Roma. Una volta trasferita a Napoli, fu inizialmente esposta a Capodimonte.

Inizialmente l’opera fu ritrovata senza la parte inferiore delle gambe e l’avambraccio sinistro (l’ultima costituisce tutt’oggi un’aggiunta non originale), cosicché Guglielmo della Porta, allievo di Michelangelo Buonarroti, fu incaricato di realizzare delle gambe da apporre alla scultura. Il pezzo mancante dell’Ercole Farnese fu ritrovato poco dopo, ma i Farnese inizialmente si rifiutarono di sostituire la copia con l’originale, considerata meno bella. Furono alla fine i Borbone a ricomporre interamente il pezzo originale, così come lo ammiriamo oggi.

Dopo le tante fatiche, e le travagliate vicende di restauro, l’Ercole Farnese può adesso finalmente riposare al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove migliaia di visitatori ogni giorno possono ammirare la sua straordinaria forza, evidente anche in un momento di apparente relax.

Fonti

  • S. De Caro (a cura di), Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Electa Napoli. Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta 1999.
  • Corriere della Sera, I capolavori dell’arteMusei del mondo. Museo Archeologico. Napoli, 2016.

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