Halloween a Napoli (quello che oggi viene chiamato così) è sempre esistito. Scriveva così, la giornalista e scrittrice Matilde Serao nel 1904 su “Il Giorno”:
“Domani mattina, a Dio piacendo, saremo svegliati da un’orchestrina originale di strumenti non molto melodiosi, ma per compenso sufficientemente assordanti. Centomila scatolette di cartone, debitamente segnate col teschio tradizionale e le immancabili ossa incrociate, faranno risuonare per tutte le vie di Napoli, per tutti i vicoli, per tutti i cortili, per i pianerottoli delle nostre scale, i soldini che vi sono piovuti dentro, attraverso la sottile fenditura, ed il rullo di questo strano tamburino ci accompagnerà da per tutto, e, dovunque, un bambino, due bambini, dieci bambini ci affronteranno, ci stringeranno in mezzo, ci sgusceranno tra i piedi, agitando la cascettella e strillando in tutti i toni: “Signurì, ‘e muorte!”.
Il culto napoletano
Da sempre il culto dei morti è uno dei più sentiti e praticati. Il 31 ottobre, infatti, era usanza che i giovani scugnizzi, nel nome dei morti, chiedessero, agitando le loro cascetelle, un’offerta di confetti e soldini per accendere le candele delle anime pezzentelle.
Dolcetto o scherzetto? No, “Cicci muorti!”.
Per le strade la gente si aggirava con “o tavutiello”, cassetta di cartone a forma di bara, pronunciando questa invocazione: “Fate bene ai Santi morti” e cantando una filastrocca che recita così: “Famme bene, pe’ li muorte: dint’a ‘sta péttula che ‘ce puórte? Passe e ficusecche ‘nce puórte e famme bene, pe’ li muorte” (traduzione: Fammi del bene per i morti: in questo grembiule che ci porti? Uva passa e fichi secchi porti e fammi del bene, per i morti).
Delle cascettelle parla anche Eduardo De Flippo in Filumena Marturano: “…ambo due e con tre figli da crescere, andai ad abitare al vicolo San Liborio, basso numero 80, e mi misi a vendere sciosciamosche, cascettelle p’’e muorte e cappielle ‘e Piererotta”.
Halloween a Napoli: dolcetto o scherzetto?
Se si pensa, inoltre, che l’usanza di chiedere i dolci il giorno di Halloween sia una contaminazione anglosassone, si sbaglia di grosso. Da sempre a Napoli durante la celebrazione della festa dei morti ci si scambiano dolci, per simboleggiare i doni che i defunti portano dal cielo e contemporaneamente l’offerta di ristoro dei vivi per il loro viaggio.
Un modo per esorcizzare la paura dell’ignoto e della morte, insomma. In particolare, a Napoli si consuma il torrone e non uno qualsiasi: in origine il Murticiello o Morticino era un bianco, a base di cioccolato e trapezoidale a forma di bara. Il dolce, inoltre, era molto soffice affinché il morto, ormai senza denti, potesse mangiarlo in tranquillità. Così i napoletani cercavano di addolcire il viaggio del morto verso l’aldilà. Per scaramanzia, come sempre a Napoli, i pasticceri decisero di cambiare la forma del torrone passando da quella trapezoidale a una semisferica.
Secondo l’usanza, inoltre, la sera prima della festa di Ognissanti, si allestivano tavole imbandite per dare ristoro ai defunti che andavano in visita per le case.
Le zucche intagliate di Napoli
Nelle antiche tradizioni popolari europee la zucca è considerata un contenitore soprannaturale delle anime dei defunti. Di questa antica credenza, com’è noto, Halloween è la massima espressione. Zucche da mille forme e colori vengono intagliate da grandi e piccini in smorfie paurose e di terrore. Anche questa tradizione, però, ha una vecchia antenata nell’Italia contadina.
Tagliare zucche e riempirle con le luci era largamente diffuso anche a Somma Vesuviana, dove infatti si organizzava la Festa delle Lucerne in cui i morti si manifestavano sotto forma di teste di zucca che brillavano nelle tenebre.
Zucche intagliate e illuminate, dolcetti e bambini che bussano alle porte delle case: ecco a voi la ricetta perfetta dell’Halloween partenopeo.
Fonti
M. Niola, Si fa presto a dire cotto, Il Mulino, 2009
L. Parlato, Le cascetelle dei morti, Langella, 2022
M. Perillo, Le incredibili curiosità di Napoli, Newton Campton Editori, 2020
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