Separato dal mare dalla barra di dune sabbiose, il lago Fusaro è luogo di mistero, di storia, nonché di bellezza senza tempo che si arricchisce ogni giorno di nuovi colori e sfumature di Napoli. Pensare che, almeno fino al 1930/1940, a queste acque, già analizzate nel 1967 e definite del tipo iperclorurato-sodiche, furono attribuite virtù connesse alla guarigione della sterilità femminile.
Curiosità sul nome
Vi siete mai chiesti da dove deriva il termine ‘Fusaro‘, utilizzato per identificare il lago?
Questo corso d’acqua era inizialmente conosciuto dagli antichi come Acherusia Palus, la palude infernale nata dal fiume Acheronte e posta nella parte meridionale di Cuma, polis greca per eccellenza. I primi reperti archeologici ci portano infatti indietro fino al III secolo a.C.. Questo nome è attestato per la prima volta già nel III sec. a.C., nel poema Alessandra di Licofone di Calcide (vv.694-709), che lo definì “fluttuante e procelloso”, forse a causa delle onde spumose nei giorni di maltempo per i fondali, già allora bassi.
Nel 1922, lo storico Raimondo Annecchino unì poi al termine Acherusia Palus l’ironica espressione di ‘ncopp ‘o ‘nfierno, dando così una definizione simpatica e dialettale, per identificare anche il posto in cui esso si trovava.
Il termine Fusaro, però, deriva da Fusarium, sostantivo destrutturato della forma infusarium, che stava ad indicare, in epoca post-classica, il luogo ove veniva macerato il lino e la canapa.
Cenni storici
Dunque, i primi riferimenti storici risalgono al III secolo a.C., ma proseguono durante tutto l’arco della storia di Napoli, dai greci fino ai Romani.
E’ noto che nel 65/68 d.C., durante gli ultimi anni del regno dell’imperatore Nerone, il lago fu inserito nel progetto della Fossa Neronis (Canale di Nerone), canale navigabile, che avrebbe dovuto congiungere la foce dell’Istmo di Corinto, ma fu abbandonato in seguito alla rivolta di Vindice. L’obiettivo doveva permettere di accelerare i rifornimenti dall’Oriente di grano e altri alimenti per l’Annona di Roma, per poi distribuirli alle masse proletarie e sottoproletarie urbane.
Resti archeologici di maggior importanza sono stati trovati nel XVI secolo, ma è indubbio pensare che il corso d’acqua fosse stato già precedentemente utilizzato da popoli indigeni, ancor prima dei Greci. Trattavasi degli Osci, che abitavano il Monte di Cuma.
La Pineta del Fusaro, luogo di pesca e caccia reale che comprende il Lago Fusaro, il Lago di Licola e la Rocca di Cuma, nacque invece durante il regno di Carlo III di Borbone ed è da qui che assumerà sempre più importanza a livello storico, sia come punto di riferimento locale, sia come fonte importante e inesauribile di strumenti ottimi per la coltivazione, rifornimento e macerazione di canapa e lino (da cui, come detto, deriva il nome Fusaro).
L’importanza attribuitagli non deve sorprenderci, giacché questo lago di origine lagunare nasce in un’area densamente ricca di fumarole, strumento eccellente per l’arricchimento del suolo acquatico, nonché per l’allevamento di ostriche e mitili.
La Casina Vanvitelliana
A completare il mitico quadro di bellezza appena descritto vi è poi la la Casina Vanvitellia, il gioiello del Fusaro, realizzata nel 1782 da Carlo Vanvitelli, architetto e ingegnere di altissima rinomanza, nonché figlio del celeberrimo Luigi Vanvitelli.
Ideata e portata a compimento per volere di Ferdinando IV, desideroso di avere un piccolo rifugio privato sul lago, la casina aveva tutte le carte in regola per divenire una residenza di rappresentanza per tutti gli ospiti reali dei Borbone.
Strutturata su due livelli con all’apice il caratteristico padiglione poligonale, la Casina reale è stata sede storica in cui sono passati esponenti di innumerevoli volti importanti della storia napoletana e non, permettendo, così, un sempre rinnovato e mai banale interesse per tutta l’area circostante, tra cui, ovviamente, il lago Fusaro.
Visitare il lago Fusaro
Sarebbero innumerevoli le motivazioni che dovrebbero spingere un qualsiasi turista a fare un giro dalle parti del lago Fusaro. Non si tratta solo di natura, arte e bellezza che si incontrano in un posto mitico per la nostra terra, quanto piuttosto della possibilità di immergersi nella storia napoletana in un modo del tutto inusuale, allontanandosi per un attimo dalla vita cittadina, assaporando così un ambiente e un contesto tranquillo, silenzioso e in pace col mondo circostante.
Un luogo da condividere a quattro occhi, ma anche da assaporare passo per passo con zaino in spalla e macchina fotografica, giacché ogni nuovo tramonto regala sempre uno spettacolo unico di cui innamorarsi.
Per approfondimenti: Parco regionale dei Campi Flegrei
Bibliografia
Alessio Strazzullo – I tesori nascosti di Napoli, Newton Compton Editori, 2016
Oronzio Gabriele Costa, Del Fusaro, The British Library, 2019
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