Joe Petrosino, all’anagrafe Giuseppe, oggi è un eroe nazionale degli Stati Uniti d’America. Rappresentò in tutto e per tutto il sogno americano: uno spazzino diventato il poliziotto che inventò le tecniche usate ancora oggi nella lotta alla criminalità organizzata. Fondò la “Italian Squad“, la leggendaria squadra antimafia di investigatori italiani e fu anche una delle prime vittime eccellenti della Mafia.
D’altronde, la peculiarità delle terre meridionali fu quella di creare tanto il suo male quanto i suoi anticorpi, con generazioni di uomini eccellenti che dedicarono tutta la propria esistenza alla lotta contro le mafie.
Da Salerno al Nuovo Mondo in cerca di fortuna
Petrosino Nacque nella piccola Padula nel 1860 e crebbe nella più remota provincia di Salerno.
Il padre era un calzolaio e la madre una povera e onesta donna di paese: la sua famiglia emigrò prestissimo in America alla ricerca di fortune e fu così che, a soli quattordici anni, Giuseppe Petrosino si trovò su un bastimento diretto a Nuova York, con tante speranze e un nuovo nome dal suono più americano: “Joe”.
L’America, nel XIX secolo come oggi, era la speranza di una vita migliore, la promessa di una fuga dalle miserie di una vita ai margini della società. Anche se poi la vita di tanti migranti finì fra lavori umilianti e povertà nei suburbi di quelle che un giorno saranno le moderne metropoli.
E mentre il Vecchio Continente si preparava alla Prima Guerra Mondiale, Joe Petrosino lavorava come spazzino di New York e, dopo aver compiuto vent’anni, entrò come recluta in Polizia.
Gli immigrati italiani, infatti, avevano poca scelta: o si affiliavano alla criminalità organizzata o cercavano di sopravvivere con attività modeste (molti diventarono gelatai, tanto da creare il famoso “Neapolitan Ice Cream“, che ancora oggi è famosissimo!) oppure, per pochi fortunati, c’erano carriere in polizia o nell’esercito.
Amico del Presidente
Durante il suo servizio, Petrosino diventò anche amico stretto di un certo Theodore Roosevelt, che nel 1895 era commissario di polizia di New York.
I due trovarono subito una forte intesa e fu proprio grazie all’intervento del futuro Presidente degli Stati Uniti che Petrosino fu promosso a capo della divisione omicidi, ruolo di altissimo prestigio nelle gerarchie americane.
La polizia americana era infatti alle prese con un grosso problema: le mafie italiane erano un fenomeno tutto nuovo per le forze dell’ordine statunitensi e nessuno riusciva a capire i movimenti criminali.
Petrosino dimostrò così il suo valore: si accerchiò di fidatissimi poliziotti italiani e creò quella che fu chiamata la “Italian Squad” di New York.
Petrosino inventò il sistema delle “operazioni sotto copertura”, facendo infiltrare i poliziotti italiani nei sistemi criminali. Riuscì ad ingraziarsi decine di informatori in tutta la città, che gli permisero di arrivare a catturare e sgominare quasi tutte le organizzazioni criminali a New York. Fra questi, ad esempio, riuscì a incastrare e rispedire in Italia il camorrista Enrico Alfano, all’epoca uno dei più noti e sanguinari capi della Bella Società Riformata.
Numerosissimi furono i casi risolti: il famosissimo Enrico Caruso, durante una sua prestazione al Metropolitan Opera House di New York, venne minacciato da delinquenti che chiesero soldi in cambio di una vita serena. Grazie all’intuito di Petrosino, la banda di ricattatori fu sgominata e il tenore dormì sonni tranquilli.
Riuscì anche ad intuire l’assassinio del presidente McKinley che, secondo alcune teorie, fu organizzato dalla stessa società segreta che ordì l’assassinio Umberto I nel 1900. Il poliziotto avvertì con insistenza i servizi segreti americani, ma il presidente volle ignorare gli avvisi e, come temuto, fu ucciso.
L’ultimo atto della guerra di Joe Petrosino fu l’arresto del boss Vito Cascio Ferro, il padrino della giovane e potente Mafia newyorchese. Dopo mesi di pedinamenti, operazioni sotto copertura e indagini, finalmente riuscì a sbatterlo in cella nel 1903. Ma arrestare un capo della Mafia fu la firma su una certa condanna a morte.
Un omicidio brutale
Petrosino sapeva che le sue ore erano ormai contate, ma volle onorare fino in fondo la sua divisa. Decise di approfittare di una sanguinosa guerra fra Mafia e Camorra fra le strade di New York per riuscire a stroncare definitivamente entrambi i gruppi criminali.
Decise quindi di andare personalmente a Palermo. Voleva approfondire in prima persona i collegamenti fra la Mafia e la Mano Nera, una società segreta che terrorizzò l’America dei primi del ‘900.
L’esperienza siciliana fu fatale: il poliziotto fu ucciso in un attentato a Piazza Marina, con quattro colpi di revolver. Era la sera del 12 marzo 1909 e morì ad appena 48 anni, sotto i colpi di un omicida che ancora oggi non ha un nome.
Secondo alcune intercettazioni datate 2014, pare che l’assassino sia stato Paolo Palazzotto, prozio di Domenico Palazzotto, un uomo intercettato durante un’operazione antimafia ben cento anni dopo la morte di Petrosino.
E se, 10 anni prima, a Napoli la morte di Ciccio Cappuccio fu addirittura celebrata con una poesia di Ferdinando Russo sul Mattino e con un funerale in piazza degno di un Re, a New York si riversarono per le strade 250.000 cittadini che accompagnarono il corteo funebre dell’amato poliziotto: il numero fu un vero e proprio record fino ad allora mai raggiunto nella storia d’America. Nemmeno un presidente aveva mai ricevuto onori simili.
Un eroe americano amato ancora oggi
Joe Petrosino fu un il figlio di un sogno americano conclusosi tragicamente: partì da una piccola cittadina della Campania (che oggi lo ricorda con un museo!) e, grazie ad un incrollabile coraggio anche nell’affrontare la morte, divenne il simbolo della lotta alle mafie.
Dopo la sua morte, la squadra italiana della polizia di New York diventò un simbolo di speranza per gli emigrati.
Nel frattempo, l’America aveva avuto il primo assaggio della brutalità della mafia italiana: dopo la morte di Petrosino arrivò infatti il periodo storico più famoso di sempre nella storia della criminalità: il proibizionismo e i Gangster degli anni ’30.
Ha dato il suo nome a una piazza e un parco al centro di Manhattan.
-Federico Quagliuolo
Per approfondire:
https://www.petrosinousa.org/
https://corrierino-giornalino.blogspot.com/2017/03/joe-petrosino.html
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