Se si è di Napoli non è inusuale indicare coloro che hanno il vizio di origliare e ficcare il naso con il detto: “Chillo tene ‘e recchie ‘e pulicano“. Ascoltando il termine pulicano è inevitabile non associarlo nell’immediato al pellicano, un uccello dal grosso becco, che inaspettatamente non ha nulla a che fare con questo modo di dire.
Il publicanus da cui deriva il detto “tene ‘e recchie ‘e pulicano“
Sciogliamo innanzitutto ogni dubbio che questo proverbio c’entri con l’udito dell’uccello acquatico, infatti il pellicano non è annoverato per il suo udito sopraffino. Inoltre, non è un abitué delle nostre latitudini e dei nostri mari, è quindi improbabile che questo modo di dire si riferisca ad esso.
Il termine “pulicano” pare che abbia un’origine più nobile, deriverebbe infatti dal latino e si riferisce al sostantivo “publicanus,ii“. Il publicanus era l’esattore delle tasse nell’antica Roma, che utilizzava l’udito come mezzo a suo favore per scoprire chi nascondesse i propri redditi e di conseguenza evadeva le tasse.
Il publicano era solito, infatti, origliare le conversazioni dei commercianti che si dichiaravano “caput sine censis“, ovvero senza reddito, quindi impossibilitati a pagare qualsiasi tributo dovuto allo Stato. Dall’espressione “caput sine censis” deriverebbe un altro modo di dire, molto comune nella nostra regione ovvero: “mannacc a cap ‘e zi Vincienz“, solitamente esclamato da un soggetto che verte in una situazione economica poco favorevole.
Il publicano, allora, è colui che si trova al momento giusto, nel posto giusto e indiscretamente ascolta ciò che desidera sentire, quindi attenzione a chi vi sta attorno potrebbero avere ‘e recchie ‘e pulicano!
Bibliografia
Renato Rutigliano, La saggezza antica dei proverbi napoletani, Edizioni Marotta
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