Alle 19.49 del 14 aprile 1988, il centro storico di Napoli fu sconvolto da un boato. A Calata San Marco, infatti, era esplosa una macchina uccidendo 5 passanti e ferendo altri 15 residenti. Lo scenario, nel vicoletto alle spalle di Piazza Municipio, era quello di una guerra: l’auto imbottita di tritolo aveva fatto saltare per aria vetrine e finestre in tutta la strada e la colonna di fumo si vedeva da ogni punto della città: questo episodio passò alla Storia come “l’attentato di Napoli”.
Erano i tempi della guerra alla Mafia e degli anni di piombo fra i clan dei Quartieri Spagnoli: e inizialmente si pensò che potesse essere un evento di matrice camorrista. Si capì subito dopo chi era il vero destinatario: gli americani dell’USO, il circolo ricreativo dei soldati statuintensi di stanza nella base di Agnano. Era infatti in programma proprio in quelle ore una festa per accogliere il comandante del cacciatorpediniere USS Paul arrivato proprio il giorno prima in città. A rivendicarlo fu la terribile Armata Rossa Giapponese.
Quest’orrore, che uccise e ferì innocenti, oggi non ha trovato ancora giustizia e non è ricordato nemmeno da una targa.
Un grande intrigo mondiale
Gli anni ’80 furono un’epoca complessa. Molti li rimpiangono per l’aria di leggerezza che si respirava e per lo storico primo scudetto del Napoli, la città era nel pieno di un fortissimo degrado e ancora contava gli innumerevoli danni per il terremoto del 1980.
Diminuendo lo zoom e guardando sul mondo, le cronache di giornale locali e internazionali li ricordano proprio per tutti quei movimenti che prepararono ciò che è accaduto nell’epoca moderna.
L’America di Reagan, infatti, stava preparando con una politica aggressiva il banchetto per festeggiare il crollo del blocco sovietico che sarebbe arrivato di lì a poco: in Medio Oriente stavano salendo sempre di più le tensioni che, nel 1990, sarebbero sfociate nella Guerra del Golfo. L’Italia invece era nel pieno di uno dei periodi più complessi della storia criminale, mentre piangeva Mattarella e Dalla Chiesa. Dall’altro lato, la classe politica stava per scontrarsi con lo scandalo di Tangentopoli. Insomma, l’attentato di Napoli era solo una piccola avvisaglia di una pentola a pressione in procinto di esplodere.
In questo quadro si muoveva l’Armata Rossa Giapponese, che sembra quasi un ossimoro. In realtà si trattava di un gruppo terroristico fondato nel 1971 da Fusako Shigenobu, un’attivista giapponese legata all‘estrema sinistra nipponica che negli anni ’70 andò in medio oriente per sostenere la causa palestinese. Con il suo gruppo armato, che negli anni ’80 contava 400 uomini, aveva un sogno: tornare in Giappone per fare un colpo di Stato, uccidendo l’Imperatore e stabilendo a Tokyo la base per una rivoluzione mondiale. Nel frattempo, militavano fra le fila dell’estremismo islamico antiamericano e antiisraeliano.
La realtà fu che questo gruppo lasciò dietro di sé una scia di sangue negli anni ’70 e ’80, diventando famoso per le sue aggressioni, rapimenti e uccisioni negli aeroporti civili e nelle basi israeliane e statunitensi. Dopo il bombardamento americano della Libia nel 1986, poi, arrivò la goccia che fece traboccare il vaso.
L’attentato di Napoli, una vendetta per il Libano
Le immagini dell’Attentato di Napoli furono drammatiche: si trattò di un evento completamente inaspettato per le forze dell’ordine. A farne le spese nel modo più atroce fu un venditore ambulante che stazionava sempre davanti all’USO e si trovava proprio vicino alla Ford Fiesta nel momento dell’esplosione: il tritolo fece strazio del suo corpo, sparso in tutta la strada addirittura con pezzi giunti nei palazzi vicini. Vincenzo Chiariello, questo era il suo nome, era soprannominato “Popeye” dagli americani ed era molto benvoluto. Lasciò il mondo a 61 anni, dopo essere sopravvissuto a due guerre e alla fame durante i bombardamenti.
Le altre vittime furono Assunta Capuano, di 32 anni, Guido Scozza, di appena 27 anni, e Maurizio Perrone di 21 anni, tutti passanti che si trovavano per pura sfortuna lì, nel momento dell’esplosione. L’unico militare americano ucciso nell’attentato fu una giovanissima marine di appena 21 anni, Angela Santos, di origine portoricana. In Ospedale furono ricoverate invece 15 persone in condizioni più o meno gravi.
A mezzanotte, quattro ore dopo l’attentato, arrivò una chiamata anonima nella direzione dell’ANSA in cui un emissario dell’Armata Rossa Giapponese disse che “tutti gli imperialisti americani sarebbero morti in quel modo” e che “l’attentato era un modo per commemorare i civili morti nel bombardamento del 1986“.
Partirono subito le indagini dell’FBI e della Digos e l’autore fu trovato rapidamente: tradito da un’impronta digitale sul contratto di noleggio dell’auto che poi sarebbe esplosa, fu individuato il giapponese Junzō Okudaira. Era già noto alle forze dell’Ordine per aver fatto un altro attentato a Roma nel 1987, davanti al consolato americano, dove fortunatamente non ci furono vittime o feriti. A Tel Aviv, invece, nel 1976 diventò famoso per aver ucciso a sangue freddo 26 innocenti nell’aeroporto dell’ex capitale israeliana. Partì il mandato di cattura, ma il giapponese era introvabile.
L’ombra nera dell’attentato di Napoli: una tragedia irrisolta
L’attentato di Napoli del 1988 ha lasciato con sé un’ombra ben più scura della facciata del palazzo colpita dall’esplosione. Fusako Shigenobu, la fondatrice dell’Armata Rossa Giapponese, è stata catturata solo nel 2000 a Osaka, dopo trent’anni di latitanza, ed è stata condannata dalla giustizia Giapponese a 20 anni di carcere, finiti nel 2020. In Italia invece era stata assolta dalla Corte di Assise di Napoli per insufficienza di prove.
L’autore dell’attentato, Junzō Okudaira, condannato all’ergastolo negli Stati Uniti nel 1993, è ancora oggi latitante e pende sulla sua testa una taglia di 5 milioni di dollari. Si suppone che, assieme a lui nel giorno dell’attentato, ci fossero anche due nordafricani. Nessuno li ha mai individuati.
Simbolicamente, l’Armata Rossa Giapponese fu sciolta il 14 aprile 2001.
A Calata San Marco, invece, nemmeno una targa per ricordare gli innocenti che persero la vita in uno dei primi atti di terrorismo internazionale in Italia che, con atrocità inutili e vigliacche, sono poi diventati l’ordinario orrore di questo inizio di III millennio.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
ANSA
New York Times
La Repubblica
Stylo24
Britannica
Lascia un commento