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Enrico VII di Svevia , figlio primogenito di Federico II, fu re di Germania ed erede imperiale. La parabola della sua vita, intrisa di scontri e incomprensioni con la figura paterna, lo privò di quel fulgido futuro che i suoi illustri natali avrebbero dovuto concedergli. La sua vicenda biografica, che unisce accese passioni familiari ad un contesto politicamente e socialmente magmatico come quello dell’Europa duecentesca, divenne per la letteratura medievale ( e successivamente anche per quella ottocentesca) una storia paradigmatica, esempio del difficile rapporto tra padri e figli.

Federico II incarna la figura paterna per eccellenza, tanto grande e magnanimo quanto opprimente e distante. Enrico invece, con la sua ribellione e i suoi continui aneliti di libertà, rispecchia il percorso che ogni figlio intraprende nell’affrancarsi dall’autorità paterna. Nel suo caso fu tuttavia un percorso mutilo, l’affrancamento non avvenne mai. Al suo posto, quasi come per contrappasso, giunse un’asfissiante prigionia. Ed è forse questo stridente contrasto nella sua vicenda biografica che è ha contribuito a creare, nel corso dei secoli, la leggenda del suo suicidio in prigionia.

Enrico VII di Svevia
sigillo di Enrico VII di Svevia, foto di Otto Posse (1847-1921) – Die Siegel der deutschen Kaiser und Könige v. 1 (751 – 1347)

Enrico di Hohenstaufen, breve cenno biografico

Futuro candidato al soglio imperiale Enrico VII di Svevia fu lasciato dal padre in Germania in giovanissima età. Il legame tra i due fu generalmente portato innanzi tramite la sterile via della corrispondenza epistolare, generalmente legata alle necessità delle cancellerie curtensi, quindi per nulla portata a lasciar travisare sentimenti familiari oltre gli stretti limiti concessi dall’etichetta regale.

In tal modo il figlio, cresciuto distante dal padre, si vide limitato nella sua azione politica da continue interferenze. Tali intromissioni, lesive del suo orgoglio personale, apparivano tanto più insopportabili poiché subite da una figura paterna distante e poco comprensiva.

Sicuramente nella vicenda di Enrico VII di Svevia elementi di tipo sentimentale giocarono un ruolo importante, ma non furono di certo gli unici. Enrico era un giovane nobiluomo ambizioso cresciuto in Germania, lontano dal padre e quindi relativamente distante dalle sue vicende personali. Come nobiluomo tedesco egli cercò di intessere una fitta rete clientelare con i principi teutonici, e con varie città, per contrastare gli interessi paterni e creare una propria base di consenso.

Miniatura raffigurante l’incoronazione di Enrico VII di Svevia

Ciò lo spinse persino ad allearsi con la Lega Lombarda, antica nemica della casa di Svevia, in chiave anti-federiciana. L’elemento sfruttato fu sicuramente la distanza dal padre, troppo coinvolto nelle vicende che all’epoca stavano accendendo il mediterraneo e l‘Europa orientale per prestare attenzione continuativa alla parte settentrionale dei suoi possedimenti.

L’alleanza con la Lega Lombarda portò tuttavia lo Stupor Mundi ad intraprendere una linea ben più interventista nei confronti del figlio: nel maggio del 1235 arrivò in Germania con ricchezze e militi, costringendo Enrico VII di Svevia, ormai quasi totalmente isolato dal punto di vista politico, alla capitolazione, avvenuta nella città di Wimpfen.

Dopo un sommario processo Enrico di Hohenstaufen fu condannato a morte, pena poi commutata nel carcere a vita, trascorso facendo la spola tra le fortezze calabresi dell’impero.

La morte di Enrico di Hohenstaufen in una miniatura trecentesca

La morte di Enrico di Hohenstaufen

Sulla morte di Enrico VII di Svevia aleggiano non pochi misteri. Dopo una lunga e dura prigionia morì nel 1242, forse presso Martirano, in Calabria. La versione più accreditata della sua morte (quantomeno fino a qualche decennio fa) lo vuole suicida: il figlio dello stupor mundi, sfuggito per un momento dalla tutela delle sue guardie, si sarebbe gettato da un dirupo mentre era a cavallo. Altre versioni, invece, lo riportano come deceduto per cause naturali.

Numerose versioni, legate più alla “leggenda nera” della tirannia federiciana piuttosto che ad un vero intento di veridicità storica, riportano la morte di Enrico come frutto della diretta volontà del padre. In tal modo Federico II avrebbe compiuto la sua ultima ed efferata vendetta contro quel figlio che aveva osato ribellarsi al suo potere. Questa versione, che dovette godere di un certo successo nel medioevo, appare tuttavia difficilmente suffragabile.

Enrico VI e Costanza, nonni di Enrico VII, dal Liber ad honorem Augusti, Pietro da Eboli, 1196

Nuove ricerche interdisciplinari molto recenti (1998) hanno gettato tuttavia una nuova luce sulle cause della morte di Enrico VII di Svevia: un’equipe di paleopatologi dell’università di Pisa guidata dal prof. Pietro Fornaciari ed affiancata dal prof. Pietro De Leo, storico dell’Università della Calabria, ha studiato la salma del figlio dello Stupor Mundi, riesumandola dalla sua sepoltura nella cattedrale di Cosenza.

La diagnosi scaturita dagli esami di paleopatologia ha riscontrato sui resti ( conservati in maniera molto parziale) chiari segni di lebbra leporosa. La malattia avrebbe sfigurato Enrico VII di Svevia portandolo poi alla morte. Sono quindi probabilmente da escludere le ipotesi di suicidio e violenza fisica comuni in buona parte della letteratura medievale, propendendo tuttalpiù per un progressivo aggravarsi della malattia per via delle dure condizioni della prigionia.

-Silvio Sannino

Bibliografia

Ubert Houben, Federico II: imperatore, uomo, mito, Società editrice il Mulino

Ortensio Zecchino, Una tragedia imperiale. Federico II e la ribellione del Figlio Enrico, Salerno editrice, Roma, 2014

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