La figura della “pittora” Artemisia Gentileschi è presente in diversi luoghi della città di Napoli e provincia. Celeberrimi sono i suoi dipinti realizzati per l’antico tempio nel Rione Terra di Pozzuoli, tra i quali spicca San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli.
E una testimonianza della sua arte non poteva certo mancare nel luogo simbolo dell’arte partenopea: il Museo di Capodimonte. Anzi, il quadro Giuditta e Oloferne può essere considerato una metafora della vita di Artemisia Gentileschi. Scopriamo perché!
Giuditta e Oloferne: il racconto
Artemisia Gentileschi sceglie come protagonisti del dipinto dei personaggi molto celebri delle Sacre Scritture, rappresentati sin dal Rinascimento in molti capolavori. Il re assiro Nabbucodonosor invia il suo generale Oloferne per soggiogare il popolo d’Israele. Il militare assedia la città di Betulia.
Giuditta, una giovane e ricca vedova, per liberare il suo popolo dal giogo opprimente di Oloferne, si introduce di notte nella sua tenda. Grazie all’aiuto dell’ancella Abra taglia la testa a Oloferne e riesce a scappare dall’accampamento assiro nascondendo la testa in una cesta. Un episodio di riscatto femminile che si sposa perfettamente con la biografia di Artemisia Gentileschi.
Una posizione da conquistare
Il riscatto di una donna che lotta contro la prepotenza di un mondo ostinatamente maschilista, per rivendicare la propria libertà. É complicato scindere l’episodio biblico di Giuditta dalla biografia della sua autrice, un binomio indissolubile. Lei, Artemisia Gentileschi, ha lottato per tutta la vita per ritagliarsi un suo spazio nel panorama artistico di inizio Seicento, dove la stragrande maggioranza degli artisti era di sesso maschile.
Viene inizialmente incoraggiata dal padre Orazio, anche lui pittore e fiero sostenitori del rigoroso e freddo caravaggismo romano. A 18 anni viene affidata alla guida del pittore Agostino Tassi che la violentò. L’episodio si concluse con un processo e la condanna a Tassi ma segnò profondamente Artemisia Gentileschi, come è facile immaginare. Da allora preferì rappresentare eroine della Storia o della letteratura, a simboleggiare un riscatto dalla posizione di emarginazione.
Giuditta è dunque la stessa Artemisia, una metafora della sua vita, continuamente alla ricerca di una dimensione propria che le permetta di emergere da una società ingiusta ed etichettatrice. Un obbiettivo pienamente riuscito, si potrebbe dire. Ma che rappresenta una mosca bianca in un contesto fortemente sessista come quello dell’Era Moderna (anche se alcune scorie possono essere individuate anche ai giorni nostri).
Il quadro di Artemisia Gentileschi
Nel suo quadro Artemisia Gentileschi non utilizzano mezzi termini, tantomeno cerca di addolcire la raffigurazione. La scena è brutale e terribilmente realistica. Artemisia (pardon, Giuditta!) con una mano tiene fermo il capo di Oloferne e con l’altra si serve di una spada con il pomo dorato per sgozzarlo violentemente. L’ancella Apra l’aiuta, bloccando con il peso del corpo ogni tentativo di ribellione. Oloferne, invece, con la mano destra accenna a un tentativo di reazione, anche se i suoi occhi vitrei raccontano già di una vita perduta.
Il sangue sgorga a fiotti e il rosso vivo contrasta con le candide lenzuola del giaciglio della vittima, con una resa teatrale e cromatica che non lascia spazio a fraintendimenti. Emblematico è anche il viso contratto e deciso di Giuditta, orgogliosa e convinta di operare nel giusto per la liberazione del suo popolo. Il taglio diagonale della scena, le linee di tensione, la contrapposizione dei colori degli abiti delle due assassine: il risultato è un capolavoro della pittura di inizio Seicento.
Fonti
- Corriere della Sera, I capolavori dell’arte – Musei del mondo. Museo di Capodimonte, 2016.
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