Nel cuore del centro storico c’era una bottega molto famosa, in quella Via della Quercia che oggi è sparita assieme al maestoso albero che nel 1600 diede il nome al quartiere: l’anno era il 1802 e, nei pressi dell’affollata Piazza del Gesù, un tal Raffaele Sacco fondò il negozio di ottica più antico d’Italia, ancora oggi esistente.
Non furono però gli occhiali a renderlo famoso: Sacco era infatti solito canticchiare versi e canzoncine da lui inventate al momento, tanto da diventare un vero e proprio spettacolo per i passanti: nelle mattinate primaverili, mentre lui era intento a lavorare i delicatissimi materiali ottici, si accalcavano numerose persone di fronte alla sua bottega per ascoltarlo poetare, deliziando tutti gli astanti.
Fra le chiacchiere delle comari che passeggivano fra il Foro Carolino e la Pignasecca, i racconti sulla vita del simpatico artigiano diventavano sempre più vaneggianti e fantasiosi: c’era chi diceva che a 4 anni sapesse già declamare poesie in latino a memoria, chi affermava che, come un buon ladro, si appropriava degli spartiti del suo caro amico Francesco Campanella, un compositore di Napoli.
E, mentre Sacco continuava a cantare nella sua bottega, inventò anche un mezzo rivoluzionario, “nonno” di quello che oggi è sulle casse di ogni negozio: il rilevatore di bolli e banconote false, chiamato “Aletoscopio“.
Nel 1835, quando un giovanissimo Ferdinando II inaugurò la prima manifestazione di canto napoletano al mondo a Piedigrotta, Sacco conquistò la ribalta: fu portato sul palco a furor di popolo, in attesa di una sua canzone. Sul palco, timidamente, cominciò a canticchiare i versi più famosi di Napoli. Ci volle poco: la serata si concluse nel delirio della folla.
Un mezzo carlino, un tozzo di pane, un fascio di verdure: questo era il prezzo di una copiella, il testo della canzone scribacchiato su un foglietto di carta stracciato, venduto dai ragazzini per conto di qualche tipografo durante Piedigrotta. Dopo la prestazione di Sacco, si dice che ne siano state richieste e vendute più di 180.000 copie, numeri da Festivalbar!
In un climax inarrestabile, la canzone diventò un vero e proprio tormentone: si dice che ad ogni ora del giorno e della notte, per le strade della capitale, c’era qualcuno che la canticchiava per strada, tanto che alcuni raccontano di essere fuggiti da Napoli per togliersi questa canzone dalla testa!
E, a distanza di 180 anni, ancora oggi qualcuno pronuncia un “te voglio bene assaje” fra i vicoli che sentirono padri, nonni e bisnonni cantare le stesse ariette.
Sacco fu, per la Storia, il primo ottico che curò gli occhi dei suoi clienti con musica e poesie.
Ma ecco il colpo di scena: secondo Carlo Missaglia, cantante e studioso di musica napoletana, non fu lui l’inventore della famosa canzone “Te voglio bene assaje“, tanto quanto non fu Donizetti a comporla, come molti credono.
A detta di Missaglia, infatti, probabilmente la canzone fu scritta da Guglielmo Cottrau, figlio di un funzionario francese che, innamoratosi di Napoli durante la conquista napoleonica, decise di stabilirsi a Napoli e cominciare a studiare musica e poesia, diventando uno dei più importanti e stimati compositori di musica napoletana al mondo. (Ancora oggi all’estero è conosciuto come l’uomo che esportò la musica napoletana in tutta Europa, mentre a Napoli il suo nome è sparito!). Lo spartito musicale, invece, fu messo su carta proprio da Francesco Campanella, il miglior amico di Sacco.
In ogni caso, la storia raccontata è quella di un fortunato ed umile interprete di una canzone semplice, malinconica e dolce, un po’ come l’anima napoletana.
P.S.
Come in una favola a lieto fine, ancora oggi esiste il negozio nella stessa strada in cui nacque l’antica bottega di Raffaele Sacco a Via Domenico Capitelli, un tempo nota proprio come Via della Quercia.
P.P.S.
Per la tesi che toglie la paternità della canzone a Sacco, chi volesse approfondire Clicchi Qui
Leave a Reply