William Hamilton, il lord inglese che studiò il Vesuvio
Il gigante addormentato
Il miracolo del linguaggio umano, tra le altre cose, sta nella capacità di condensare immagini potenzialmente infinite intorno a un numero finito e limitato di lettere: semplici suoni o semplici segni grafici che nascondono allo stesso tempo la componente emotiva e sensoriale e quella logica e razionale del nostro universo interiore.
Succede, per esempio, che se leggiamo su di un desktop pulsante di luce, come su un vecchio libro ingiallito, come su un cartello stradale la parola Napoli, immediatamente davanti ai nostri occhi sfilano una serie di immagini.
E la prima potrebbe mai non essere quella del nostro golfo azzurro dominato dall’imponente dorso, verde e duro, del Vesuvio?
Da sempre la penna dei poeti, gli spartiti dei musicisti e i pennelli degli artisti hanno raccontato la natura ambivalente del Vesuvio e l’altrettanto ambigua percezione che ne hanno gli abitanti di Napoli.
Egli rende il terreno fertile, ma sotto la sua crosta vi fa scorrere cupi fiumi di lava; accoglie viti e colture e allo stesso tempo ne minaccia la distruzione ogni giorno; si staglia contro il cielo per creare uno dei panorami più belli del mondo e al contempo soggioga la terra nel timore di scosse e devastazione: il gigante addormentato, terribile ma ammansito.
Nel corso dei secoli il Vesuvio è stato uno dei vulcani più studiati da scienziati e appassionati di vulcanologia di tutto il mondo. D’altronde, una delle più antiche testimonianze di dedizione e sacrificio alla scienza e al sapere la diede Plinio il Vecchio, che morì, durante l’eruzione del 79 d.C., nel tentativo di osservare da vicino la rabbia esplosa del Vesuvio.
Secoli e secoli dopo, nel 1841, fu creato il primo Osservatorio vulcanologico del mondo, l’Osservatorio Vesuviano; e ancora, nel primo Novecento il padre della Scala Mercalli, lo scienziato Giuseppe Mercalli, compì numerosi studi ed esplorazioni sulle pendici del Vesuvio.
William Hamilton, l’ambasciatore scienziato
Oggi, però vi parleremo di un naturalista e vulcanologo che non viene quasi mai ricordato: sir William Hamilton. Questo lord inglese, che fu ambasciatore presso la corte di Napoli dal 1764 al 1800, prima ancora che un diplomatico, nel suo cuore fu un archeologo, uno studioso, un antiquario e un minuzioso collezionista.
Già vi abbiamo raccontato dell‘incredibile figura di Emma Hamilton, la moglie dell’ambasciatore: ebbene, suo marito non fu un uomo da meno.
Della sua attività di vulcanologo rimane un’opera accuratissima, dal titolo Campi Flegrei, Osservazioni sui Vulcani delle Due Sicilie (Campi Phlaegraei, Observations on the Volcanos of the Two Sicilies): il titolo naturalmente suggerisce che Hamilton, oltre a studiare il Vesuvio, concentrò la sua attenzione anche sulla pericolosa ed interessantissima zona flegrea.
L’opera, che documentava una costante osservazione durata quasi quarant’anni, è considerata il primo passo verso uno studio scientifico del vulcanismo, e fu corredato da una serie di illustrazioni tanto impressionanti e accurate che, in breve tempo, divennero più famose del contenuto – pure brillante e acuto – del libro di Hamilton.
Pubblicato nel 1776, fu ristampato e accompagnato da un supplemento nel 1779, per testimoniare – attraverso nuovi disegni e nuovi studi dell’autore – l’imponente eruzione del Vesuvio dell’Agosto di quello stesso anno.
La vita professionale, scientifica e anche intima di Sir William Hamilton, insomma, non è altro che una ulteriore testimonianza di quanto la città di Napoli ribollisca da sempre di spunti vitali; così, egli la raggiunse da ambasciatore e la lasciò da scienziato, con una collezione privata di reperti archeologici immensa, un’opera scientifica stretta al petto e il cuore pieno dei suoi colori.
Beatrice Morra
Per approfondire l’argomento:
http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k108241r/f3.image
http://special.lib.gla.ac.uk/exhibns/month/oct2007.html
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