Il Palazzo Reale di Napoli è un luogo da sogno: dal cortile allo scalone monumentale, passando per i corridoi e le sale affrescate. E chissà che sensazione di soggezione dovevano avere i visitatori nel percorrere i suoi corridoi!
Eppure questa magnifica struttura nacque senza un re. Letteralmente: fu commissionato nel 1599 allo svizzero Domenico Fontana per ospitare Filippo III di Spagna, ma il re spagnolo non venne mai a Napoli.
Dovremo aspettare Carlo di Borbone per vedere questo palazzo regolarmente abitato da un sovrano: erano passati ben 136 anni dall’inizio dei lavori. Ma la struttura fu completata come la vediamo oggi solamente nel 1858, praticamente due anni prima della caduta di Napoli.
Ripercorriamo una storia di 400 anni fra arte, incendi, sovrani e architetti straordinari.
Un luogo malfamato da riqualificare
Prima della creazione della piazza che diventò famosa come “Largo di Palazzo” e poi “Piazza Plebiscito”, non c’era un bel niente se non il palazzo Vicereale, che era la sede del governo di Napoli. L’unica cosa visibile era poi un grande spiazzo in terra battuta con un piccolo monastero al posto della basilica di San Francesco di Paola. Lo slargo fino al 1600 era intitolato a San Luigi per una piccola chiesa che oggi non esiste più.
Tutt’attorno la zona di Pizzofalcone era un cumulo di bettole e case chiuse e rimase così fino ai tempi di Ferdinando IV. Basta pensare che la prima testimonianza della parola “camorra” in un atto ufficiale viene proprio da una casa da gioco che si chiamava così davanti al Palazzo Reale.
Dall’altro lato, il Rione Santa Brigida era talmente brutto e malsano ce nel 1884 alcuni scienziati credettero che il colera fosse nato lì.
Nasce il Palazzo Reale di Napoli
La zona era perfetta per costruire un edificio nuovo e riqualificare il quartiere: la nuova Via Toledo finiva infatti proprio a pochi passi dallo slargo e la posizione a ridosso del mare era ideale per avere un punto d’osservazione privilegiato e per garantire la fuga al re in caso di attacchi: si poteva raggiungere in pochi passi il Castel Nuovo in caso di difesa o il mare in caso di fuga. Il viceré Fernando Ruiz de Castro conte di Lemos, dunque, non ebbe dubbi: chiamò Domenico Fontana a corte e gli chiese di produrre il progetto di un palazzo che avrebbe dovuto far invidia all’Italia intera. Nonostante i tanti rinnovamenti nel corso del tempo, la struttura non è molto diversa da come la pensò l’architetto svizzero. Serviranno però 243 anni per veder finito il palazzo, anche se già dopo 16 anni il palazzo sembrava esternamente completato e nel 1651 da Francesco Antonio Picchiatti fu costruito lo scalone monumentale che oggi tanto ci incanta (ma la versione attuale in marmo fu costruita solo nel 1844, da Ferdinando II)
Tutt’attorno, le decorazioni del Palazzo Reale di Napoli sono un omaggio a tutte le casate nobiliari entrate nella linea dinastica degli Asburgo.
Quanti cambiamenti!
Fontana, Picchiatti, Fuga, Sanfelice, Vanvitelli, Sono solo alcuni nomi dei tantissimi architetti straordinari che misero mano al monumento moderno.
Se il palazzo esternamente è rimasto quasi sempre simile alla sua versione iniziale, l’interno fu continuamente rivoluzionato: si passò dai dipinti di Belisario Corenzio alle decorazioni francesi di Giuseppe Bonaparte, senza dimenticare i gusti asburgici di Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando IV di Borbone, che volle decorare gli interni del palazzo con mobili austeri ed eleganti.
Si racconta che, all‘arrivo di Carlo di Borbone a Napoli nel 1735, il palazzo era in condizioni talmente fatiscenti che Bernardo Tanucci fu inviato a comprare mobili, tende e suppellettili al Monte di Pietà perché era inutilizzabile tutto ciò che era rimasto all’interno, frutto di 50 anni di abbandono. La struttura era anche in cattive condizioni e, per questa ragione, fu chiamato Ferdinando Sanfelice per un nuovo restauro. Poi fu il tempo di Ferdinando Fuga, altra superstar dell’architettura a Napoli, che ampliò ancora di più il palazzo, con la costruzione del teatrino di corte, che fu “declassato” per l’inaugurazione del vicino Teatro San Carlo. Poi fu il tempo di Luigi Vanvitelli, che risolse un grosso problema.
L’architetto notò che il porticato disegnato da Domenico Fontana era troppo debole e stava compromettendo la stabilità del palazzo che, prima o poi, sarebbe crollato. Fu così che chiuse gli archi creando le famose nicchie che furono riempite nel 1888 dalle statue dei re di Napoli, per volontà di Umberto I di Savoia.
Ferdinando I aggiunse invece istituzioni utili alla Corona all’interno del gigantesco edificio: inaugurò la Stamperia Reale nel 1751, poi il Collegio Militare (1767), l’Accademia di Scienze e Lettere (1778) e il Grande Archivio del 1785.
L’incendio del 1837 e le innovazioni di Ferdinando
Il palazzo come lo conosciamo oggi è ben diverso da come lo vedevano i reali antenati, almeno all’interno. Nel 1837 ci fu infatti un incendio che distrusse buona parte degli interni del Palazzo Reale di Napoli, creando danni incalcolabili. Il re Ferdinando II, che nel frattempo si stava accingendo ad inaugurare la prima ferrovia d’Italia, capì che dalla disgrazia bisognava creare un’occasione. Chiamò Gaetano Genovese, un architetto esordiente che scalzò Niccolini, il padre del San Carlo. Diede a Genovese un compito: quello di portare il palazzo “nel futuro”.
Fu quindi presentato un “piano grandioso, comodissimo e bello“, come descritto dall’architetto stesso.
Ferdinando II era invece tanto conservatore nel carattere quanto notoriamente incuriosito dalle tecnologie del suo tempo e accolse con grande favore l’introduzione delle tubature dell’acqua corrente, la luce a gas ed elettrica e gli allacci fognari. I giardini invece furono affidati all’espertissimo Friedrich Dehnhardt, il botanico tedesco che aveva reso magnifici i giardini di Capodimonte. Non ultima, Genovese ordinò la demolizione del Palazzo Vicereale costruito da Pedro di Toledo, che non aveva più senso di esistere.
Il Palazzo Reale di Napoli dopo l’Unità
Arrivò l’Unità d’Italia, con Garibaldi che passeggiava nervoso fra i corridoi del palazzo per decidere cosa fare del Sud Italia, inseguito da un avvocato napoletano, Raffaele Conforti, che lo convinse a svolgere il famoso Plebiscito di annessione, che poi diede il nome alla piazza. Poi fu il tempo di Vittorio Emanuele II, che venne solo una volta a dormire nelle stanze dell’”adorato cugino napoletano” e infine di Umberto I e Vittorio Emanuele III, quest’ultimo nato addirittura a Napoli (e c’è anche un dipinto che lo ritrae da bambino nel Palazzo Reale di Napoli). Più in generale, i Savoia preferirono la Reggia di Capodimonte, come in passato fece Carlo di Borbone.
E infine, dopo i disastri della II Guerra Mondiale (il palazzo fu bombardato, ma non crollò), con la Repubblica Italiana, le porte del Palazzo Reale di Napoli furono finalmente spalancate e diventarono non più residenza di un capo di Stato, ma casa di tutti gli amanti di quei dipinti e quelle decorazioni austere e magnifiche delle tutte le residenze nobiliari di Napoli.
Un museo che incanta e racconta, nei suoi dettagli ammirati e voluti dai tanti re e architetti straordinari, le vestigia di una città che fu una capitale dell’arte ancor prima che capitale politica in Italia.
Biglietti e orari di visita del Palazzo Reale di Napoli
-Federico Quagliuolo