Salone Margherita
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Nato su modello dei più noti Moulin Rouge e Folies Bergère, il Salone Margherita aveva il sapore delle cose proibite, a cominciare da quell’ingresso defilato, quasi nascosto, cui si accede da una scala in marmo sotto la Galleria Umberto I.

Proprietario dal 1891 Giuseppe Marino, direttore del Banco di Napoli. Questo storico locale nacque infatti da un’idea dei fratelli Marino, che guardavano con interesse ai cafè-chantant parigini che molto successo riscuotevano nel vecchio continente. In questo luogo, come negli omologhi europei, si poteva mangiare e bere assistendo a spettacoli e canzoni.

I personaggi famosi del tempo

Era al Salone Margherita che cantavano le Sciantose come Amelia Faraone, mentre le ballerine scoprivano gambe e mutandoni esibendosi nello scandaloso can-can.

Teatro, è proprio il caso di dirlo, della Belle époque napoletana, in questi sontuosi ambienti sono passati artisti come Raffaele Viviani e Ettore Petrolini.

Salone Margherita manifesto
Salone Margherita, manifesto

Salone Margherita, un ingresso da 2 lire

Un biglietto di ingresso di 2 lire includeva una prima consumazione a scelta tra le oltre cinquanta specialità della casa. Con l’aggiunta di un piccolo extra si poteva addirittura bere il costosissimo champagne Veuve Cliquot. Tutto declinato in una versione parisienne, compresi i manifesti degli spettacoli che erano scritti rigorosamente in francese, per vivere quell’allure francofona così alla moda.

Salone Margherita foto d'epoca
Salone Margherita, foto d’epoca

Un tributo alla Regina Margherita di Savoia

Come per la più diffusa pizza napoletana, anche il nome, Salone Margherita, era un tributo a quella regina sabauda, consorte proprio di Umberto I, cui è dedicata la Galleria in cui si trova.

Matilde Serao aveva preso parte all’inaugurazione del locale, e con lo pseudonimo di Gibus descriveva così l’ambiente sul Corriere di Napoli:

«La sala, ricca delle pitture di Risi, di un’intonazione felice di colore e di decorazione, ha una piacevolissima aria di buon gusto; le molte simpatiche figure muliebri che ricoprono la volta, opera di un artista valoroso per quanto modesto, sono piene di un’attraente modernità e questo è uno dei principali loro pregi. Bene illuminato, spazioso da contenere meglio d’ottocento persone giù in platea e ne’ palchi, il Salone Margherita è di quelli che restano continuamente affollati».

Matilde SeraoGibus

Eppure così non fu. La mattina dell’11 agosto 1905 il Salone Margherita, luogo di allegria e spensieratezza, riportava un cartello che inquietò non poco la comunità che lo frequentava, “chiuso per lutto”.

Il giorno prima, nella stanza numero 9 della pensione Mascotte, lo scultore Filippo Cifariello aveva assassinato a Posillipo sua moglie Maria De Browne, ballerina del Salone nota con il nome d’arte di Blanche De Mercy.

Come in un giallo di Maurizio de Giovanni

Cinque colpi di pistola, come aveva raccontato ai tempi il sciuscià dell’albergo, Alfonso Fratellini, che rinvenne il corpo esanime della bella chanteuse.

Un delitto che sembra quasi uscito dalle pagine di un romanzo di Maurizio de Giovanni, e che ci riporta alle atmosfere cupe dei gialli del suo Commissario Ricciardi.

L’artista e la ballerina avrebbero vissuto a fasi alterne una bollente passione sfociata comunque in un matrimonio. Per sedare la gelosia del marito, Maria si ritirò dalle scene. Una scelta sofferta, cui seguirono il rancore e l’astio, che portarono la donna a rinfacciare le condizioni di miseria in cui era costretta a vivere al fianco dell’artista.

L’uomo lavorò persino di notte pur di garantire un tenore di vita che fosse all’altezza delle aspettative della De Browne. Ma non bastava. Maria ritornò così a calcare il palco, e a tradire Cifariello con ammiratori e spasimanti che la ricoprivano di regali e attenzioni. Tanti i suoi amanti, tra i quali si annovera persino un giovane discepolo di lui.

L’incontro fatale all’inaugurazione di una statua equestre

Storie passeggere, che Maria riusciva a coprire adducendole alle maldicenze delle persone che volevano minare la felicità del loro matrimonio. Ma tutto cambia quando la Sciantosa incontra l’avvocato Leonardo Soria, durante l’inaugurazione di una statua equestre realizzata proprio dal marito.

Fu questo l’inizio della fine, e di una storia nata come tresca che portò Maria a desiderare di separarsi dal marito e ricominciare una nuova vita con Soria. La donna confessò le sue intenzioni a Filippo che, roso dalla gelosia, estrasse la pistola e la uccise.

«Maria, Maria! Ora che sei morta ti amo più di prima…» avrebbe detto l’uomo in preda alla follia, tra lo sgomento di camerieri e poliziotti accorsi per quella tragica vicenda.

La tragedia di un’altra sciantosa e la chiusura

Qualche anno più tardi la tragedia di un’altra sciantosa, Ester Bijou, fece calare definitivamente il sipario sul Salone Margherita. Oggi lo storico locale è aperto per eventi e ricevimenti. La licenziosa spensieratezza di quel palco sembrò svanire al suono dei cannoni della guerra in Libia e il Salone fu costretto a chiudere le sue porte e con esse il fascino di una Belle époque destinata a diventare per sempre nostalgia.

Bibliografia

I luoghi e i racconti più strani di Napoli, Marco Perillo

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